La banca francese SocGen è il nuovo azionista numero due di Generali; con una partecipazione del 4,17% della prima assicurazione italiana l’istituto francese si colloca dopo l’azionista di controllo storico Mediobanca, con un 13%, e prima dell’imprenditore italiano Caltagirone titolare di una partecipazione del 3,4%. La maggioranza della partecipazione sarebbe detenuta tramite derivati, ma scoprire una primaria banca francese tra i principali azionisti di una delle tre principali assicurazioni europee è decisamente “troppo” per catalogare l’operazione tra le normali attività di investimento di una banca; soprattutto se la novità arriva in una fase in cui si moltiplicano le operazioni e i rumour sull’asse Italia-Francia e se la nuova partecipazione riguarda una società, Generali, che è coinvolta in rumour di una possibile integrazione con la francese Axa da due decenni. Oggi l’azionista di controllo di Telecom Italia è la francese Vivendi dopo un accumulo di azioni cominciato quasi per caso e poi proseguito nell’indifferenza generale del sistema Paese e forse addirittura nell’incredulità, per così tanta fortuna, del nuovo azionista. Una partecipazione di controllo spendibilissima e rivendibilissima in una fase di aggregazioni europee nel settore telecom con almeno un soggetto, l’Orange a controllo sostanziale dello stato francese, interessato a mettere le mani sull’ex monopolista pubblico di un Paese di 60 milioni di abitanti con un’economia sviluppata. Partecipazioni di questa caratura sistemica e strategica per la cronaca sono difficilissime da trovare perché di solito “incomprabili”.
I rumour sull’asse Italia-Francia sono continuati in estate con le ipotesi di fusione tra Airbus e Finmeccanica in cui la società controllata saldamente dallo stato francese metterebbe le mani su una società strategica italiana, nel settore difesa, con alcune eccellenze tecnologiche di livello assoluto e non replicabili. Si potrebbero anche scrivere enciclopedie di articoli su una fusione tra uguali, ma tutto il mondo sa che se questa fusione andasse in porto a comandare sarebbero i francesi se non altro in grado di esprimere un sistema Paese mille volte più coeso del nostro.
Oggi si parla appunto di Generali con una partecipazione significativa che potrebbe anche aumentare e che al momento opportuno potrebbe “contare” moltissimo soprattutto se si trattasse di votare su una fusione. L’azionista di controllo italiano di Generali è alle prese con un ripensamento strategico e con un possibile ricambio nel suo azionariato di controllo per le difficoltà patrimoniali di Unicredit; il sistema economico finanziario italiano è l’ombra di quello di trent’anni fa e Mediobanca sta spostando da anni i propri interessi a Londra. Moltissime aziende medio-grandi italiane sono oggi a controllo estero e comprano i servizi finanziari di cui hanno bisogno sul mercato globale. Aver venduto a pezzi parti importanti dell’economia italiana ha portato a una situazione in cui non c’è più un sistema “italiano” da servire e che naturalmente si rivolge a chi parla la sua lingua.
Generali oggi deve scegliere se fare un’operazione o un’acquisizione che la renda grande abbastanza per smettere per sempre di essere considerata un pezzo di un’operazione più grande fatta e controllata da altri oppure, appunto, entrare a far parte di un gruppo più grande e perdere per sempre la propria indipendenza; il contesto di tassi bassi che potrebbe durare ancora a lungo rende il tema delle aggregazioni particolarmente urgente. Chi vuole le Generali ha un’opportunità d’oro da un lato, anche per la debolezza politica italiana, e dall’altro rischia di perdere un’occasione ghiottissima; ricordiamo che il dossier Pioneer, la società di gestione del risparmio di Unicredit, sta girando proprio in questi giorni con il suo azionista che medita sulle possibili dismissioni per alleviare il conto dell’aumento di capitale e con Generali tra i possibili pretendenti. Ricordiamo inoltre che sia Generali che Unicredit hanno amministratori delegati francesi che legittimamente non dovrebbero essere preda di particolari sentimentalismi per i destini del sistema Paese italiano. In palio, tra Generali e Pioneer, c’è il controllo del risparmio italiano. Siamo un Paese che nonostante due decenni di semi-recessione ha ancora moltissimo risparmio e fatto ancora di risparmiatori. Il risparmio a differenza di capannoni e aziende si può spostare, ha pochissimo a che fare con il sistema Paese di origine e con le sue sorti economiche e soprattutto si può usare per finanziare qualsiasi progetto e impresa in qualsiasi parte del globo.
Il governo italiano potrebbe persino credere o decidere di credere di poter trovare nella Francia un alleato nelle trattative con la Germania e l’Europa; un alleato e una trattativa da cui potrebbero anche uscire sei mesi di clemenza per un po’ di regalie con cui compensare sondaggi molto sfidanti e una crisi di ricette pro-ripresa prima che la Germania ricominci a dettare legge a tutti. Ci dimentichiamo che la Francia, che ha anche lei i suoi bei problemi economici e politici, è quella che ha fatto una guerra in Libia con l’obiettivo praticamente dichiarato di danneggiare l’Eni e gli interessi energetici italiani ed è la stessa che su mille dossier ha fatto concorrenza all’Italia con metodi molto aggressivi.
Ottenuto quello che serve si perderebbe solo ogni potere contrattuale nelle trattative con quello che sembra un Paese in crisi interessato a rimpinguare i propri posti di lavoro ai danni di quelli italiani. Speriamo solo davvero che nessuno provi a giocare i gioielli strategici italiani su quello che sembra un tavolo da gioco truccatissimo; magari in cambio della sopravvivenza politica.