I rumour su Generali e Intesa Sanpaolo sono vecchi di due giorni. Domenica La Stampa avanzava l’ipotesi che Intesa Sanpaolo e Allianz, la prima come “leader”, stessero considerando un’offerta su Generali e il giorno dopo, lunedì sera, dopo una giornata in cui il mercato ha dichiarato di crederci la stessa Generali ha comprato il 3% di Intesa Sanpaolo per bloccare una possibile “scalata”. Ieri i rumour di un’offerta di Intesa, che nella sostanza è palesemente una fusione, si sono fatti più insistenti.



L’errore più grande che si può fare su questa storia è quello di pensare che sia una questione astrusa di finanza fatta per pochi tecnici. Vorremmo qui riassumere brevemente cosa c’è in gioco in questa vicenda. Generali è la prima assicurazione italiana e il più grande gestore di risparmio italiano e una delle prime tre assicurazioni europee; è da anni oggetto di rumour su possibili “fusioni” con Axa, si scrive fusione ma si legge acquisizione; l’ad di Generali è un francese che si è portato dietro una prima linea di management di ex-Axa. Il principale azionista di Generali si chiama Mediobanca; la principale banca d’affari italiana con un terzo degli azionisti del patto di controllo francese e un altro terzo guidato da Unicredit. Mediobanca è in crisi di identità dato che il sistema Paese di cui è espressione, anche con il suo fattivo contributo, è la metà di quello che era dieci anni fa (a Londra è solo l’ultima arrivata e con l’accento sbagliato); l’ad di Mediobanca qualche mese fa ha dichiarato di essere disposto a far confluire la propria partecipazione in Generali in un soggetto più grande.

L’altro azionista italiano di Mediobanca si chiama Unicredit, l’unica banca sistemica italiana, anche lei con un ad francese e alle prese con la necessità di raccogliere 13 miliardi di euro in aumento. Unicredit ha già venduto pezzi di Fineco, Pioneer, con i suoi 200 miliardi di euro di risparmi italiani volati in Francia, e la controllata polacca. I rumour di una “fusione” tra Societe Generale e Unicredit si fanno ogni giorno più insistenti.

Ora, con la vicenda Generali di ieri stiamo quindi parlando di un riassetto che coinvolge la prima assicurazione italiana, Generali, la prima banca d’investimento italiana, Mediobanca, la più grande banca italiana per attivi, Unicredit, e la prima banca locale italiana e cioè Intesa Sanpaolo. Ogni elemento fa credere che senza un intervento di rottura l’epilogo di questo scenario sia una fusione tra Societe Generale e Unicredit e una tra Generali e Axa. Due “fusioni”, che sarebbero in realtà due acquisizioni e che vedrebbero la nascita di due colossi saldamente in mano al sistema paese francese esattamente come Essilor/Luxottica o Parmalat/Lactalis.

Di queste quattro istituzioni l’unica che ha un azionariato saldo e riconducibile al sistema Paese è Intesa Sanpaolo. Una banca solida che fa soldi e che si è impegnata a distribuire dividendi; settimana scorsa per inciso uscivano i primi rumour che ipotizzavano il ruolo di preda persino per Intesa, a cui forse conveniva un’acquisizione per rimanere indipendente e soprattutto italiana. Nell’azionariato di Mediobanca ci sono i francesi e c’è Unicredit, guidata da un francese, che è venditore. In quello di Generali, da sempre desiderata da Axa, c’è Mediobanca, mentre Unicredit alla vigilia di un aumento di capitale colossale non ha un azionariato di riferimento e in compenso si gioca il suo azionariato di riferimento in questi mesi.

Facciamo una pausa e abbiate un po’ di pazienza. L’Italia è un Paese in crisi che ha perso lo status di potenza continentale ma non le società e i gruppi banco-finanziari, ma non solo, che invece erano il frutto di tre decenni da quarta potenza industriale globale. Non solo, oggi la questione che viene prima di ogni altra in finanza e in politica è il destino dell’euro e dell’Europa. Il declino italiano, soprattutto rispetto a Francia e Germania, è iniziato con l’euro come dimostra ogni dato e ogni statistica economica. Questa costruzione sta stretta a tanti e oggi il tema è se sopravvivrà e come. Se sopravvive così per l’Italia è la fine, ma le spinte centrifughe stanno andando su di giri alla velocità della luce; questo è indipendente dalla volontà dell’Italia come dimostrano la Brexit, le dichiarazioni di Trump e i gruppi politici, con rispettivi sondaggi, che si sono fatti strada in Francia e in Olanda.

Qualcuno ha avuto il coraggio di parlare di un’alleanza Francia-Italia. Chiunque ne parli in questi termini è in malafede. Non c’è nessuna alleanza perché è la Francia che controlla il primo operatore telefonico italiano, è a un passo dal controllo della prima televisione privata italiana, ha preso il controllo del fior fiore dell’industria italiana, Luxottica, Parmalat, il lusso, del secondo operatore energetico nazionale, Edison e che oggi è palesemente in campo nei giorni in cui si decide il destino di più del 50% del sistema finanziario italiano. Non c’è un singolo caso reciproco, nemmeno paragonabile, di segno opposto. A nessun italiano è stato permesso di fare questo in Francia. Solo un’ingenuità clamorosa o la malafede può pensare che questo risultato sia il prodotto di investitori singoli, del mercato, e non di una strategia.

Questa alleanza italo-francese è un protettorato francese sull’Italia alla vigilia di una possibile (probabile?) rottura dell’Europa. La Francia sta tentando di uscire il meglio possibile da una situazione, l’euro, in cui a livello industriale è perdente esattamente come l’Italia. Tra due mesi si siederà al tavolo con la Germania forte di un controllo di fatto sull’Italia le cui elezioni sarebbero pleonastiche di fronte a un controllo su tutte le leve finanziarie oltre che sui media e sulle telecom. A quel tavolo magari si siederà con l’arma di contrattazione credibilissima di un referendum sull’euro che spaventa la Germania, nel nuovo mondo protezionistico post-Trump, più che l’Italia. La Francia si troverebbe in una posizione negoziale fortissima. L’Italia si ritroverebbe alleata di uno Stato “europeo” magari guidato dalla Le Pen che utilizza la minaccia dell’uscita dall’euro o l’uscita per recuperare sovranità statale e liberarsi del giogo tedesco; per se stessa e per i propri interessi e non per altri come accaduto in Libia con lo scopo dichiarato di danneggiare l’Italia per i propri interessi energetici ed economici.

Ma nel nuovo mondo post-Trump e magari post-euro l’Italia non può permettersi in nessun caso di perdere il suo sistema finanziario, quello che compra il suo debito, e tanto più se servito su un piatto d’argento a un Paese concorrente se non dichiaratamente nemico come suggerisce la storia dell’intervento in Libia. A questo punto meglio i cinesi o gli americani che non sono così dichiaratamente concorrenti o nemici.

Se l’euro finisce e l’Italia si trova senza banche è condannata a non avere nessuna indipendenza con i risparmi diretti ad altri interessi di altri sistema Paese. Chi comprerà il debito italiano? Chi finanzierà le operazioni di sistema in un mondo che diventa ancora di più protezionistico? Chi difenderà gli interessi dell’Italia? Gli azionisti italiani di Generali che hanno appena venduto tutto ai francesi? Le partecipazioni industriali e le utility? Unicredit guidata da un francese alle prese con un aumento di capitale da 13 miliardi? Mediobanca con il suo azionariato liquido, e Bollorè nel patto di sindacato, e con la cronaca di decine di imprenditori italiani assistiti e consigliati nelle operazioni di vendita?

Un disegno di sistema che tuteli la presa del sistema Paese su quanto più possibile di Generali/Mediobanca/Unicredit/Intesa non è uno sfizio, ma la premessa per qualsiasi idea di sviluppo, di indipendenza e democrazia reale nell’anno di grazia 2017. Chi finge di non vederlo è in malafede esattamente come chi ha il coraggio di parlare di alleanza Italia-Francia. Chiamiamo le cose con il loro nome piuttosto: l’Italia sceglie di diventare un protettorato francese per attraversare i mari tempestosi che stanno per arrivare. Se qualcuno pensa che questo assetto tuteli tutti, italiani e francesi, si sbaglia perché tutela tutti i francesi, inclusa la classe media, e solo una parte dell’establishment italiano che non vuole le lire ed è solo preoccupato di tutelare il proprio patrimonio. Le lire servirebbero per rimettere al lavoro il 50% dei giovani italiani che non trovano occupazione oppure che fanno i camerieri a Londra. Meglio fare i camerieri a Roma con la lira svalutata no?

Nel mondo che si apre, protezionistico e agitato, se l’Italia vuole avere una chance deve poter essere minimamente padrona dei propri destini senza affidarsi a protettori che non potranno che fare i loro esclusivi interessi. Altrimenti l’unica prospettiva è quella di essere una colonia magari di un Paese, la Francia, che sicuramente non è nemmeno di prima fascia. È più onesto Trump che proclamando a tutti “America first” ci spiega le regole e con chi abbiamo a che fare di tutti gli “alleati” europei messi insieme che dicono Europa, ma intendono sempre e solo Germania o Francia.