La borsa di Milano ha perso in due giorni il 4%; il tonfo di lunedì, -3%, non ha fatto gola a nessuno e ieri la discesa è continuata. L’andamento del mercato azionario è, forse, la notizia del giorno, ma non è la questione principale che si dovrebbe notare. Lo spread Btp-Bund è passato da circa 150 di inizio anno a 180, il rendimento del decennale italiano è passato dall’1,7% di inizio gennaio (eravamo a 1,2% solo a fine settembre) a 2,3%. La sintesi di questi numeri è che si comincia a notare un certo nervosismo sull’Italia.
La questione trascende le ultime richieste europee: i dati sulla disoccupazione di questi giorni, quelli sul Pil e quelli sul debito pubblico non solo consegnano una situazione devastante ma certificano il fallimento di quello che è stato fatto in Italia e all’Italia dal 2011 in poi. Non c’è nessun miglioramento strutturale: la capacità produttiva continua a scendere, la disoccupazione sale, le imprese se ne vanno o vengono comprate e il debito continua a salire.
Questa storia è vecchia di anni, ma il mercato se ne è preoccupato solo quando sono emerse frizioni all’interno dell’Europa. Ed è esattamente quello che sta accadendo ora con le elezioni in Francia e con la nuova Amministrazione americana. Infatti, se la situazione non degenera, gli euro rimangono euro e gli italiani mettono qualche pezza, c’è sempre un momento in cui si torna a comprare per cavalcare quelle mini-crescite che l’Italia riesce a mettere assieme quando il resto del mondo recupera anche se sempre meno degli altri. Nello scenario attuale si prefigura un declino lento, ma inesorabile, alla fine del quale l’Italia diventa la Grecia, con la differenza che siccome l’Italia era la quarta economia del globo, e la terza dell’euro, ci sono ancora tante imprese e tanto risparmio il declino è molto più lungo.
Dal 2011 in poi, nonostante la performance economica pessima, l’Italia non ha avuto alcuna frizione significativa con l’Europa prima applicando l’austerity e poi assumendo un atteggiamento subalterno e passivo sulla questione bancaria, sulle guerre dall’altra parte del Mediterraneo, sulla difesa delle imprese strategiche e sul sostanziale appalto alla Germania della conduzione dell’area euro. In cambio si evitavano le letterine di richiamo e si otteneva che l’Europa guardasse dall’altra parte quando si approvano bonus e regalie elettorali varie e si posticipava a data da definirsi qualsiasi provvedimento sistemico sull’apparato statale.
Oggi la situazione è diversa. Il declino italiano, lento ma inesorabile, ha aumentato il divario con la situazione economica dei nostri partner, in particolare la Germania, fino a renderle irriconoscibili; in Europa l’opposizione all’euro e all’attuale costruzione è diventata conclamata come provano i sondaggi in Olanda e, soprattutto, in Francia. L’Italia dovrebbe essere la punta di questa protesta, ma la questione per il momento non si pone neanche con un decimo di questa forza. Il baratto che è avvenuto tra Italia ed Europa negli ultimi cinque anni – nessuna protesta e nessuna questione sollevata a livello europeo contro i vantaggi ottenuti da Francia e Germania in cambio di momentanea dimenticanza su bonus e disastri economici – ha lasciato l’Italia debolissima e screditata sui mercati che credono, a torto o a ragione, che per il nostro Paese non ci sia una soluzione ancora peggio se fuori dall’Europa; nel breve periodo lo scotto da pagare per l’Italia che esce dall’euro, inevitabile, sarebbe molto più alto di quello che avrebbe pagato nel 2010 prima dell’austerity.
Ma c’è un’altra questione che rende la situazione molto diversa. Ieri il consigliere economico per il commercio di Trump, Navarro, ha dichiarato che la Germania usa “una valuta enormemente sottovalutata” che è “implicitamente il marco tedesco” per “sfruttare gli Stati Uniti e i suoi partner europei”. E ancora: “Lo sbilancio commerciale della Germania nei confronti del resto dell’Europa e degli Stati Uniti evidenzia l’eterogeneità economica all’interno dell’Europa”, “un accordo commerciale con l’Europa e in realtà un accordo multilaterale travestito da accordo bilaterale”.
Ci voleva un americano per dire che il re è nudo. E cioè che la Germania è nella situazione perfetta dove esporta a più non posso, sfruttando un euro debole, un marco enormemente sottovalutato, che è il risultato della debolezza e delle difficoltà inflitte ai suoi partner europei; la Germania non aiuta nemmeno un riequilibrio interno all’Europa spendendo in casa il surplus commerciale come dovrebbe da patti e vincoli europei.
Il protezionismo di Trump rischia di essere un colpo mortale per la strategia economica della Germania degli ultimi vent’anni e passa. Porre l’Europa tutta in contrapposizione agli Stati Uniti è a tutto vantaggio tedesco nella misura in cui la Germania riesce a travestirsi da Europa quando la realtà è che il resto dell’Europa sta morendo mentre la Germania sfrutta il dominio economico a fini politici. Più questa situazione va avanti, più per l’Italia sarà difficile uscire mentre il declino è assicurato. La Francia tra due mesi potrà riequilibrare questa costruzione minacciando la Germania di far finire l’euro; alla Francia è stata risparmiata l’austerity e ha potuto tenersi tutto il suo apparato industriale comprando invece quello degli altri. Il risultato è che può uscire tranquillamente dall’euro o in alternativa minacciare la Germania alle corde per il neo-protezionismo americano.
All’Italia converrebbe trovarsi qualche amico, magari in America, per spezzare questo giogo. Ma prima bisognerebbe capire e dire come stanno le cose. Non è facile con una buona parte della classe imprenditoriale che vuole evitare che la rendita in euro diventi in lire, pazienza per i milioni di disoccupati, e con chi in Italia incassa i dividendi politici della subalternità suicida all’Europa tedesca o tedesco-francese.
La cosa più stupida del mondo per l’Italia sarebbe non accorgersi che nella guerra tra Germania e Stati Uniti che si avvicina farsi intruppare nell’Europa significa solo farsi intruppare in “questa” Europa che non è altro che lo strumento a servizio della Germania, e forse della Francia, e dei suoi esclusivi interessi. La cosa più intelligente forse sarebbe sfruttare questa guerra per provare a recuperare un minimo di agibilità economica.