Il gruppo Psa, titolare tra gli altri del marchio Peugeot, ha dichiarato ieri di essere in trattative con General Motors per l’acquisto del marchio Opel. Il senso industriale dell’acquisizione è molto diverso da quello a cui abbiamo assistito con la fusione tra Fiat e Chrysler: in questo caso Psa non si espande in un’area geografica non presidiata o presidiata male, ma aumenta la propria esposizione a un mercato, quello europeo, che non solo è iper-competitivo, ma che deve fare i conti con le deboli prospettive della sua economia. Il senso industriale di questa acquisizione è quello di produrre lo stesso numero di macchine, o poco inferiore, in modo più efficiente lavorando sulla capacità produttiva e sugli investimenti. Un’operazione simile a questa sarebbe quella che ha proposto, con poco successo finora, Marchionne a General Motors in cui le sinergie sarebbero sul lato costi e investimenti senza aprire nuovi mercati geografici o di prodotto.
Il ministero dell’Economia francese ha fatto subito sapere di sostenere il management di Psa nell’accordo con Opel e di guardare con attenzione le conseguenze sull’occupazione. La speciale attenzione del Governo francese sulle mosse di Psa non è una notizia particolare dato che è, con una partecipazione di quasi il 14%, uno dei tre maggiori azionisti della società insieme alla famiglia Peugeot e ai cinesi di Dongfeng. La partecipazione risale a un’operazione di salvataggio del 2014. Ricapitolando: il gruppo automobilistico francese Psa fa acquisizioni in Europa tre anni dopo essere stato salvato dallo Stato e con lo Stato ancora come uno degli azionisti di riferimento. Non solo, in questa situazione non occorrono particolari colpi di genio per prevedere che gli stabilimenti francesi o i centri direzionali e di ricerca saranno un po’ più fortunati con i piani di efficientamento rispetto agli omologhi esteri. Gli occupati francesi e il Pil della Francia ringraziano sentitamente per la politica industriale del Governo che prima salva la società automobilistica e poi garantisce l’occupazione francese comprando all’estero.
Sempre ieri abbiamo appreso da Reuters di una lettera congiunta di Francia, Germania e Italia con cui si chiedeva alla Commissione europea di ripensare le regole per gli investimenti stranieri nell’Unione, preoccupati che il know-how tecnologico sia fatto trapelare all’estero. Forse le recenti acquisizioni di società cinesi nella robotica tedesca hanno avuto un ruolo, ma rimane il fatto che evidentemente l’idea che la nazionalità di una società non sia proprio indifferente per la politica industriale e l’economia di un Paese non è così strana. In Italia abbiamo assistito a società acquisite e completamente decapitate nel loro know-how per la semplice ragione che c’era già gente, tendenzialmente con stipendi sopra la media, nel Paese d’origine che faceva le stesse cose. Potremmo aprire un capitolo anche sulla apertura degli stabilimenti, dato che in certi settori, per esempio quello auto, probabilmente non varrebbe la pena fare neanche un bullone in un Paese del primo mondo.
L’assunto non detto della lettera delle tre maggiori economie è che esista un interesse europeo per un’economia europea. Per ora possiamo notare che invece esistono ancora gli interessi nazionali perseguiti indipendentemente dall’Europa e spesso contro gli altri Paesi; alcune delle ultime operazioni viste in Italia, pensiamo per esempio a Pioneer venduta ad Amundi o a Parmalat, sarebbero state inconcepibili a parte inverse perché chi vende perde tante competenze e spessissimo molti posti di lavoro diretti o nella filiera. Questo senza considerare gli effetti sulla sovranità reale.
Immaginiamo che la questione possa diventare ancora più spinosa se tra sei mesi o tra cinque anni scoprissimo che l’Europa è diventata un po’ meno Europa e che invece i tedeschi o i francesi sono sempre tedeschi e francesi. Fare politica industriale per l’interesse del proprio Paese e di chi ci lavora fa tutta la differenza del mondo per il “Pil”. Infatti, l’Italia ha la seconda peggiore crescita d’Europa dopo la Grecia nel 2016 e avrà la peggiore in assoluto nel 2017. Quanti posti di lavoro sono stati persi con le scorribande estere sulle imprese italiane degli ultimi cinque anni? E ha fatto qualche differenza se a comprare sono stati cinesi o europei?