Ieri in un’intervista concessa a La Repubblica il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, è intervenuto su euro ed Europa. Secondo Calenda, “la crisi dell’Europa deriva dalla mancanza di risposte efficaci al bisogno di sicurezza” e “uscire dall’euro vorrebbe dire un gigantesco e istantaneo impoverimento dell’Italia”. La questione posta in questi termini rischia di essere fuorviante. È vero che l’uscita dall’euro implicherebbe un impoverimento istantaneo, ma è altrettanto vero che nello scenario attuale assistiamo a un impoverimento lento e inesorabile per cui non sembra esserci soluzione, anche per colpe dell’Italia, nell’attuale Europa.
La questione che bisognerebbe porsi è se esiste un modo per l’Italia di rilanciare la crescita e ridurre una disoccupazione ormai drammatica, all’interno dell’attuale Europa con le sue regole e, soprattutto, con i suoi rapporti di forza. Gli interessi dei disoccupati e del 50% dei giovani che non lavora sono divergenti rispetto a chi ha una rendita di qualsiasi tipo, meritata o meno. Nel primo caso non c’è nessuna differenza tra non avere euro e non avere lire, però può esserci una differenza se invece con le lire si trova lavoro senza dover emigrare. Più questa situazione si perpetua, più saranno le persone per cui è indifferente non avere euro o non avere lire, ovviamente posto che un giovane su due non riesca a emigrare, ma a quel punto dell’Italia non rimarrebbe più niente, nemmeno per i pensionati o per i dipendenti pubblici. Risolto il problema dell’immigrazione rimarrebbe quello dei milioni di disoccupati.
La seconda questione è che l’Italia sta assistendo a decisioni prese da altri. Anche ammesso che tutte le forze politiche italiane siano a favore dell’euro rimane la questione che altri si stanno ponendo la domanda se non sia meglio uscire dall’euro o depotenziarlo. In Italia si può fare e dire qualsiasi cosa, ma non si può fare niente per impedire le elezioni in Francia, Olanda e Germania. Non si può fare niente per impedire il declino o i problemi degli altri Paesi che in questo momento si pongono, giustamente, il problema della convenienza dell’euro o di questa Europa. Impostare la discussione partendo dall’assunto che comunque l’Europa esista e che comunque l’Italia esista in un contesto europeo, così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi due decenni, elude completamente il problema.
Se la Le Pen perde, la Francia presenterà comunque il conto alla Germania tentando una ridefinizione dei rapporti di forza che eviti il declino di cui è pure vittima e se questa operazione non riuscisse, in favore della Francia, tra cinque anni la Le Pen si ripresenterebbe alle elezioni con il doppio dei voti. In tutto questo c’è la Germania che andrà a votare a settembre.
Quello che ci aspetteremmo non è una discussione sul fatto che fallito l’euro ci sarebbe “un impoverimento gigantesco e istantaneo”, una previsione per cui non serve neanche un esame di economia. L’Italia non può permettersi di escludere a priori possibilità solo perché sembrano troppo brutte e non può, letteralmente, permettersi di non chiedersi se l’euro sia o non sia un problema ed eventualmente a che condizioni; non può permetterselo perché i dati economici sono tragici.
La questione dell’euro non si pone per delle diverse opinioni filosofiche, ma si pone perché intere economia stanno, irrimediabilmente, collassando e perché all’interno dell’Europa ci sono priorità di politica internazionale e difesa confliggenti. L’euro potrebbe anche sopravvivere come l’Europa, ma queste questioni rimarrebbero sul tavolo e qualcuno prima o poi sarà obbligato a farci i conti; più passa il tempo, per la cronaca, più i conti si allungano.