Da alcune settimane Andrea Dellabianca è il nuovo Presidente nazionale della Compagnia delle Opere. Una scelta che ha l’obiettivo di «dare maggior slancio e consistenza operativa» allo scopo originario per cui quasi trent’anni fa è nata l’associazione. Imprenditore attivo da anni nel settore del noleggio a lungo termine di veicoli, Dellabianca nell’ultimo triennio ha già guidato la Cdo di Milano e provincia. «Oggi la Cdo – spiega – vuole essere anzitutto un luogo in cui imprenditori e aziende possano essere accompagnati nelle sfide quotidiane del fare impresa. Sfide che racchiudono i temi del lavoro, dello sviluppo, della gestione, in uno scenario di continui cambiamenti che richiede forte capacità di adattamento, mettendo sempre al centro la persona».
Si torna a parlare di corpi intermedi dopo anni in cui a tutti i livelli si è spinto sulla cosiddetta disintermediazione come via maestra con tutti gli effetti negativi di frammentazione del tessuto sociale a cui assistiamo. Cosa ne pensa?
I corpi intermedi si sono indeboliti perché loro stessi non hanno accettato la sfida di capire quotidianamente come dovevano cambiare e come dovevano rinnovarsi per mantenere quella funzione di rappresentanza dal basso dei cittadini, delle comunità, del tessuto economico. Per molto tempo abbiamo inseguito un’idea di successo che consisteva nel farcela da soli. Se una persona da sola riusciva ad avere successo, questo era considerato una dimensione di valore. Per fare un esempio, anni fa per le imprese associate c’erano servizi come la classica convenzione per la telefonia che davano un immediato vantaggio economico, ma questi si collocavano dentro un sistema associativo che non si limitava solo a quell’aspetto. Quando con la disintermediazione di prodotti e servizi ognuno ha potuto comprare bene o male direttamente forniture a prezzi competitivi senza più la mediazione di un’associazione, spesso insieme si è perso anche il valore vero di un corpo intermedio.
E quale sarebbe?
Essere un insieme di esperienze, un luogo di sfide e di confronti di cui un corpo intermedio riesce a fare sintesi producendo strumenti e pensiero così da essere in grado di sostenere un dialogo con le istituzioni e di incidere nel mondo economico e sociale. Questa per la Cdo è una sfida che, fortunatamente, è sempre stata viva. Magari meno visibile ma viva, perché noi non siamo un’associazione di tipo datoriale legata a una categoria o a un contratto collettivo. Non ci sono automatismi che portano le imprese ad associarsi alla Cdo. Dobbiamo incontrare una per una le imprese che si associano con noi, vedere insieme cosa possiamo fare e individuare una strada.
Recentemente avete incontrato il presidente del Cnel Renato Brunetta, un organismo che si candida a diventare la casa dei corpi intermedi. Com’è andata?
Quello che ci sorprende è che pure essendo ai primi passi nei rapporti istituzionali troviamo un alto livello di attesa rispetto al contributo che la Cdo può dare oggi sui vari temi al centro dell’attenzione. Evidentemente c’è una stima che è sempre presente e che va a volte oltre quello che noi pensiamo di essere.
Perché questo secondo lei?
Perché, come dicevo prima, abbiamo una modalità di rapporto e di relazione che è proprio da persona a persona, a cominciare dai nostri soci. Li “viviamo”, ci confrontiamo con loro quotidianamente, e questa relazione fa sì che anche i contenuti che vengono elaborati siano il risultato di un paragone continuo con la realtà delle imprese e del lavoro. Ne derivano proposte intelligenti, interessanti e attente. Non sono progetti calati dall’alto.
Uno degli aspetti su cui avete lavorato molto anche negli ultimi anni è quello della formazione. Su questo fronte oggi cosa c’è di nuovo?
Sin dall’inizio siamo sempre stati profondamente convinti che il valore dell’impresa è dato sì dalla struttura organizzativa, dai macchinari, dalle infrastrutture, ma molto di più dal capitale umano. Soprattutto nel post-pandemia è molto cambiata la relazione con i propri collaboratori e l’investimento sul capitale umano è diventato ancora più significativo. Oggi guardiamo con simpatia ad alcune proposte che arrivano, per esempio, dall’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà proprio sul tema del capitale umano, cioè sul riconoscimento che l’investimento in formazione è un valore per l’impresa e come tale deve essere considerato anche in termini fiscali e di tassazione. Banalmente invece oggi se acquisto un nuovo macchinario ho un certo tipo di impatto economico-finanziario e fiscale, mentre se investo nella formazione del capitale umano questo non viene riconosciuto allo stesso modo. È un esempio di quanto dicevo, di come alcuni impegni che ci stanno a cuore, maturati nel dialogo continuo con le imprese, possano poi tradursi in proposte di normative che mettano al centro il tema del capitale umano e quindi della formazione, anche degli imprenditori. Spesso infatti quest’ultima passa in secondo piano, ma nel mondo delle pmi che chi fa un’impresa sappia riconoscere i cambiamenti, possa imparare a gestire i collaboratori, a dialogare col mercato, a rapportarsi con le banche, costituisce un fattore decisivo per lo sviluppo di un’azienda, per il benessere dei suoi collaboratori e per il suo impatto sociale con tutto quello che ne deriva.
La Cdo si è sempre contraddistinta per la scelta di far dialogare fra loro imprese profit e realtà no profit…
Sì, questa è sempre stata una caratteristica di fondo della Cdo. La sfida dell’uomo all’opera prescinde dal fatto che un’impresa sia profit o no profit. Questa coesistenza di realtà diverse, in cui l’impresa profit aiuta l’opera no profit a capire che l’organizzazione dell’azienda è un fattore positivo, e viceversa un’impresa no profit ricorda che l’ideale per cui si fanno le cose non è solo il mero ebitda, è un circolo virtuoso che per noi è sempre stato fondante. Questo oggi nel mondo è un dato che comincia a diventare patrimonio comune. Basti pensare ai criteri ESG (Environmental, Social, Governance) o alle organizzazioni finanziarie americane più forti che stanno andando in una direzione in cui chiedono alle aziende di restituire ricchezza al proprio territorio avendo cura di aspetti che vanno dall’ambiente al sociale. Per noi tutto questo è sempre stata l’evidenza di una quotidianità presente nelle nostre imprese. Prendiamo questo nuovo modo di pensare del mondo per dargli il contenuto.
A che cosa si riferisce in particolare?
Pensando ai tre criteri ESG credo che sulla S, cioè sulla parte del sociale, la Cdo possa essere un interlocutore privilegiato. Abbiamo una realtà di opere, piccole e grandi, nell’ambito del Terzo settore molto significativa, conosciuta, che può dare degli indicatori e far ottenere la certificazione delle imprese profit in modo che queste possano da una parte rispondere alle richieste degli istituti di credito e del mercato, e dall’altra far emergere anche quello che di bene c’è già. Molte piccole e medie imprese oggi aiutano organizzazioni del terzo settore perché ci credono. Se noi riusciamo a far emergere anche questo fatto che già esiste, diamo un contributo anche in termini di conoscenza facendo diventare gli ESG non solo degli indicatori a cui bisogna sottostare, come le norme ISO 9000, ma apportiamo contenuto e valore. Per questo al prossimo Meeting di Rimini vorremmo ritornare con una presenza molto più significativa che dia evidenza a tutto questo ecosistema di relazioni fatto di servizi alle imprese, alle persone, profit, no profit, cultura. Mostriamo un pensiero che sia oggi un contributo interessante per il mondo in cui viviamo.
C’è quindi già un programma di iniziative più strutturate per il prossimo Meeting?
Ci stiamo lavorando. Vogliamo dare l’impatto di questo ecosistema dell’intrapresa, definiamolo così, sia visivamente, sia con incontri, percorsi ma anche convivialità che ci accompagneranno nella settimana del Meeting.
Che tipo di risposta state incontrando da parte delle imprese?
Positiva, noi spesso diamo per scontato che il ritrovarsi anche solo per mangiare insieme e per discutere liberamente e in maniera leale sui diversi temi, sia una normalità, ma nel mondo non è così. Oggi spesso chi fa impresa si trova in una condizione di solitudine rispetto ai bisogni o alle situazioni critiche che si trova ad affrontare, all’idea che ha sullo sviluppo dell’azienda, alle decisioni che deve prendere. È una dimensione di fragilità molto diffusa e se capita di incontrare un luogo dove tutto questo può essere messo a tema, allora la prospettiva cambia. Si apre un ambito di relazioni nel quale si sviluppano idee, progettualità, tentativi. Non si è più soli. La Cdo è proprio questo: da un insieme di relazioni si può generare una progettualità, una capacità di rischio, dei tentativi che possono diventare paradigmatici per tutti. Se si prende seriamente questa sfida, si incontrano tante persone con cui condividere il proprio percorso di intrapresa, aiutandosi anche a rischiare. Oggi il tema del rischio è sempre meno accettato proprio perché si è da soli, per cui tutto il peso della scelta giusta, di cosa succederà, diventa insostenibile. Per questo dobbiamo rimetterci in relazione. Andando a visitare le diverse realtà della Cdo in Italia avverto questa esigenza.
(Piergiorgio Chiarini)
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