Grande il dolore della famiglia di Niccolò Ciatti dopo la sentenza beffa della corte spagnola, che ha condannato a soli 15 anni, il minimo della pena, l’assassino del giovane di Scandicci ucciso nel 2017 in Spagna, durante una vacanza con gli amici. Il ragazzo, colpito in discoteca da tre ceceni, non ha ricevuto giustizia: solamente uno, infatti, è stato condannato e ad una pena che non vale la vita di un ragazzo. Luigi, padre di Niccolò, racconta il suo grande dolore al Corriere e parla di una conferma ricevuta. Quale?
“Che la giustizia in questo mondo è come una bilancia impazzita. E che per il giudice spagnolo Adolfo Garcìa Morales del tribunale di Girona la vita di mio figlio vale appena quindici anni di carcere. Eppure c’è una cosa che mi ha fatto ancora più male: leggere una frase nella sentenza nella quale il giudice afferma che 15 anni per questo omicidio è una pena giusta perché altrimenti che cosa dovrebbero infliggere i magistrati per omicidi più gravi? Come se il barbaro assassinio di un ragazzo di 21 anni non fosse sufficiente a giustificare il massimo della pena. Questi cinque anni sono stati un calvario. E non è ancora finita” ha rivelato con grande dolore il padre del giovane pestato a sangue e colpito da un calcio mortale alla testa.
L’ultimo saluto
Prima della tragedia che ha tolto la vita a Niccolò Ciatti, la sua era una famiglia unita e serena. Il padre racconta: “Eravamo una famiglia felice fino a quando alle 5 del mattino del 12 agosto del 2017, mentre io e mia moglie eravamo in vacanza in Trentino, il telefonino ha iniziato a vibrare sul comodino dell’hotel. Era Simone, uno degli amici di mio figlio. Mi informava che Niccolò era ricoverato all’ospedale di Girona. Gli ho chiesto, che cosa fosse successo e se avessimo dovuto venire subito. E quando lui mi ha detto di sì, senza spiegarmi altro, ho avuto un brivido così strano e violento che neppure oggi so descrivere. Tredici ore in un traffico caotico e continue telefonate all’ospedale”.
Il calvario di Niccolò è durato qualche ora: “I medici dicevano sempre le stesse cose. Che nostro figlio era grave ma stabile. Però, ogni volta, ci chiedevano quando saremmo arrivati, come se fosse vicino qualcosa di irreparabile. In terapia intensiva ci aspettavano alcuni poliziotti. Uno di loro piangeva. Non avevamo più dubbi: stavamo vivendo una tragedia inimmaginabile. Abbiamo visto il corpo di Niccolò attaccato alle macchine, ma la sua mente probabilmente non c’era già più. Lo abbiamo abbracciato, accarezzato per sette ore, dalle 19 alle 14 del giorno dopo. Cinzia a un certo punto mi ha detto di aver sentito la mano di Niccolò stringergli un dito. Alle 14.30 hanno staccato le macchine. Ci siamo messi a urlare. Lo stesso giorno sono andato a scegliere la bara e a provvedere al rientro di Niccolò a Scandicci, ma prima c’era da attendere l’autopsia. Siamo rientrati in Italia. E il 17 agosto siamo dovuti tornare in Spagna. Siamo atterrati a Barcellona la sera dello stesso giorno dell’attentato terroristico sulla Rabla. Poi il viaggio all’agenzia funebre. Ed è qui che abbiamo abbracciato per l’ultima volta nostra figlio. Era freddo. Lo ricordo ancora quell’abbraccio”.
Processo e pena
I tre ceceni accusati dell’omicidio di Niccolò Ciatti non hanno pagato la giusta pena per la morte del giovane: “Due di loro sono usciti quasi subito dopo l’interrogatorio di una pm giovane e inesperta. In carcere resta solo Rassoul Bissoultanov, il killer del colpo fatale”. Eppure c’è un video nel quale si vedono gli ultimi istanti di vita di Niccolò: “Ce lo girano su messenger il 18 agosto. Mia moglie si mette a urlare. Non è possibile capire, e mi rivolgo ancora al giudice Morales, il dolore devastante e assoluto che abbiamo provato”.
L’unico dei tre ceceni condannato, è scappato due volte prima dalla Spagna e poi dall’Italia. Ora la condanna, a soli 15 anni di carcere. Una pena che non vale la vita di Niccolò, ma la speranza è tutta nel processo italiano: “Dopo 4 anni di carcerazione preventiva ci comunicano che Bissoultanov, l’assassino di nostro figlio, è uscito di carcere per un permesso ed è introvabile. Lo rintraccia la polizia tedesca in Germania, per fortuna. Tentava di fuggire anche se lui nega. Viene estradato in Italia e la speranza torna. Ma per un errore viene nuovamente scarcerato e torna in Spagna. Poi arriva la beffa del minimo della pena. Ma la speranza continua. Venerdì c’è il processo parallelo a Roma. Forse la giustizia esiste ancora”.