Ricorrono oggi i cinquant’anni de Il Padrino (The Godfather), sesto lungometraggio del regista Francis Ford Coppola, nato a Detroit ma newyorchese per cultura e vissuto, nonché di origini italiane da parte di entrambi i genitori.
La storia è tratta dal romanzo omonimo del 1969 dello scrittore newyorchese di origini campane Mario Puzo, definito (il romanzo) “assai fasullo” dall’autorevole critico cinematografico Goffredo Fofi, probabilmente per un eccesso di stereotipi nel disegnare personaggi e situazioni. La Paramount non fu invece dello stesso avviso, visto che ne acquistò subito i diritti, fiutando il crescente interesse del pubblico per simili storie, sull’onda del successo di Gangster Story (Arthur Penn, 1967). Ebbe però notevoli problemi a trovare un regista almeno di livello medio-alto che lo volesse realizzare. Rifiutarono infatti autori del calibro di Sam Peckinpah, Sergio Leone e Peter Bogdanovich. Coppola invece accettò, soprattutto per soldi (sua ammissione). Ma anche per potersi cimentare con un progetto di serie A, intuendo la possibilità di evolvere dalla posizione di regista semi-esordiente appena trentaduenne, con pochi film di nicchia all’attivo, e di emanciparsi definitivamente dalla Factory di Roger Corman.
E allora quel film scomodo che nessuno voleva fare, nonostante gli svariati problemi di produzione e lavorazione che ha conosciuto, in primis le divergenze tra Coppola e la Paramount in merito alla scelta del cast e alla qualità della fotografia (circostanze occorse anche ad altri capolavori come Casablanca, Curtiz 1942; Roma Città Aperta, Rossellini 1945; o il primo Guerre Stellari, Lucas 1977, per citarne alcuni), alla fine ha visto la luce, e che luce. Quella della ribalta di una fama planetaria, in una misura che poche altre pellicole hanno saputo raggiungere. Le difficoltà, insegna la storia del cinema, quasi sempre aguzzano l’inventiva, impongono soluzioni ingegnose e concorrono quindi a produrre grandi opere.
Il film è l’adattamento di una parte del romanzo di Puzo, quella più strettamente legata alla parabola criminale del protagonista Vito Corleone (Marlon Brando), mentre le altre parti, che narrano delle sue origini e del passaggio del comando prima al figlio Mike e poi al nipote Vincent Mancini, verranno riprese nei due seguiti, Il Padrino Parte II (1974) e Il Padrino Parte III (1990), sempre magistralmente diretti da Coppola.
Pur formalmente strutturato come un film di genere, una gangster story, il Padrino di Coppola va ben oltre. Stilisticamente è straordinario. La fotografia di Gordon Willis dosa a dovere chiari e scuri (più i secondi dei primi), evidente emblema visivo di una mafia rappresentata (ancora) come compresenza di bene e male. La vicenda, se pur forgiata sugli stereotipi del genere, acquista man mano forte valenza metaforica su diversi versanti: il conflitto tra nuova e vecchia America, la progressiva confusione tra mafia e politica, le iniziali difficoltà e poi il successo (criminale) per alcune famiglie di immigrati nel padroneggiare il cosiddetto Mito americano.
L’illustrazione di una sorta di “morale” del crimine, che guida le scelte dei protagonisti, la puntigliosa ricostruzione di un’epoca dominata dal patriarcato, la personale concezione – da parte dei malavitosi mafiosi – di religiosità e peccato sono tutti elementi che spostano il mood de Il Padrino dal piano del discorso filmico a quello della tragedia classica, con i suoi miti archetipici e la sua struttura rituale. Nel suo complesso il film di Coppola è fruibile – e di molto godibile – come un grande affresco dell’America e della sua storia, dal primo Novecento in poi.
Nel suo sapiente misto di istanze d’autore da nuovo cinema americano e narrazione classica (che sfocia nel mito archetipico, come detto), Il Padrino inaugura anche la prassi new-hollywoodiana del colossal, ripresa poi da importanti autori più o meno coetanei del nostro, come Cimino, Spielberg, Lucas e altri (lo stesso Coppola col magnifico Apocalypse Now, 1979). La ripresa della grande industria americana dell’intrattenimento, dopo la flessione di fine decennio Sessanta, passò anche attraverso film come questo.
Tre gli Oscar: miglior film, miglior attore protagonista (Marlon Brando) e migliore sceneggiatura non originale (il regista con lo stesso Mario Puzo). Musiche del maestro Nino Rota, che non ottenne la nomination all’Oscar perché riciclò un motivetto già composto e speso per un precedente film.
Da segnalare la presenza non secondaria di attori italiani di ottime capacità, come Angelo Infanti, Franco Citti e Sauro Urzì, nonché di Simonetta Stefanelli (la ricordiamo nel ruolo della figlia adolescente di Gassman ne In Nome del Popolo Italiano, Risi 1971) nei panni della giovane sposa del figlio del Padrino, Mike (Al Pacino).
In sintesi estrema potremmo definire Il Padrino di Francis Ford Coppola un film totale. Vale a dire uno dei pochi a narrare una storia che è come un sunto emblematico di tutte le storie, tramite uno stile che pare un sunto poetico di tutte, o quasi, le possibilità stilistiche che il Cinema ha conosciuto fino a quel momento.
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