Frociaggine. È la parola che da due giorni aggrega più commenti sulla rete e nei social media. L’ha pronunciata – il fatto è noto – Papa Francesco in un dialogo a porte chiuse, porte che qualcuno ha provveduto ad aprire alla stampa e agli organi di comunicazione, non si sa con quanta intenzione o con quanta malizia. Si sa solo che si tratta dell’ultima parte di una risposta più articolata che il pontefice ha offerto a quanti gli chiedevano conto circa la possibilità di ammettere in seminario candidati con orientamento omosessuale.
Negli ultimi anni, seguendo la prassi della Chiesa universale, anche la Conferenza episcopale italiana si è adoperata nel distinguere tra coloro che hanno un orientamento omosessuale e coloro che lo traducono in atti concreti e reiterati. Francesco ha preferito negare questa distinzione, asserendo che la condizione omosessuale, vissuta all’interno di una comunità esclusivamente maschile, espone il futuro presbitero a intraprendere con maggiore facilità una doppiezza di vita non compatibile col ministero ordinato.
Sulla questione si dovrebbe pronunciare anche uno dei tavoli sinodali che faranno il punto il prossimo ottobre a Roma al cospetto del Papa, ma le parole di Francesco sembrano superare il tema e chiudere l’argomento. Immortalato, per l’appunto, dall’osservazione circa il fatto che nei seminari – o nel clero – ci sarebbe già troppa “frociaggine”.
Le considerazioni che si potrebbero fare su questo episodio sono molte: è inutile seguire il filone della polemica o quello dell’apologetica ad ogni costo. Il punto di partenza è che queste parole hanno ferito delle persone, hanno destato stupore e hanno interrogato molti. Il motivo si potrebbe riassumere in almeno sei ragioni.
Per prima cosa è giusto evidenziare che il Papa, con questo intervento, mette in luce come la questione omosessuale non sia più un tema culturale, una questione che la Chiesa di Roma si trova ad affrontare, bensì una questione esistenziale, un tema che riguarda la Chiesa al suo interno. Non si tratta di capire come muoversi fuori dal perimetro ecclesiale, ma all’interno. Che cosa intende fare la Chiesa con i fedeli omosessuali? E che cosa intende fare con i preti e i vescovi che sperimentano questo orientamento?
In secondo luogo le reazioni alle parole di Bergoglio fanno capire che esiste un problema missionario: oggi moltissimi prendono le distanze dalla Chiesa, se ne vanno e la lasciano, per le posizioni del cattolicesimo sull’omosessualità. Sono soprattutto giovani, uomini e donne di trenta o quarant’anni, che diventano atei, agnostici o abbracciano altre confessioni cristiane. Il cattolicesimo può stabilire che va bene così, che questa è la sfida che la fede lancia alla modernità, ma certamente deve diventarne consapevole. Che cosa abbiamo da dire a chi se ne è andato? Perché un giovane omosessuale non dovrebbe prendere le distanze dalla Chiesa?
In terzo luogo è chiaro come per questa enorme problematica morale non ci siano gli strumenti teologici adeguati: categorie e pronunciamenti sono ancorati a circostanze troppo localizzate per poter assurgere a strumenti di interpretazione e di esplicazione universale. Manca un pensiero cristologico e trinitario che sorregga la posizione della Chiesa e la precisi adeguatamente. Ci sono slogan, spinte, contrapposte tifoserie, ma non c’è un’idea in campo. Che cosa significa oggi pensare l’omosessualità alla luce del fatto cristiano?
C’è poi il tema del celibato, una questione spirituale. Da come lo si descrive in alcuni contesti esso si risolverebbe nel mettersi nelle condizioni migliori per trattenersi, ma il celibato della Chiesa è molto di più: è scelta profetica di un dono totale agli altri che non si esaurisce nel lasciarsi andare o nel disciplinarsi, ma nell’apprendere l’amore. A chi questo oggi è possibile? Che cosa significa davvero essere celibi?
Inoltre, legato a questo, c’è la quarta ragione che rende le parole di Francesco tremendamente dirimenti: il rapporto della Chiesa con il desiderio sessuale. È compatibile il desiderio di Cristo con il desiderio del piacere? In che rapporto sta l’esigenza di felicità di ogni uomo, l’evidenza di trovare in Cristo l’unico bene, con la vita sessuale? Che cos’è il sesso per la Chiesa?
Non è dunque scontato, vista la portata delle domande suscitate, che il tavolo del sinodo dedicato al tema presenti argomentazioni alternative a quelle del pontefice: che cosa significa in questo caso la sinodalità? Che senso ha discutere di qualcosa che il Papa ha così ben circoscritto? Che cos’è, dunque, un sinodo?
Infine le parole sfuggite dal seno dei vescovi italiani gettano una domanda più radicale sul rapporto tra la Chiesa e la rivoluzione sessuale. Joseph Ratzinger fu chiarissimo nell’addebitare a tale mutamento dei costumi l’origine della crisi antropologica contemporanea; oggi pare che il papa tedesco non fosse lontano dal vero: il valore teologico dei sentimenti, delle pulsioni, delle perversioni e delle relazioni private è certamente l’appuntamento che la Chiesa ha con la storia del XXI secolo. Che cosa è moda, modernismo strisciante, e che cosa, invece, chiamata dello Spirito alla conversione e al cambiamento? Come gli studi biblici possono aiutare questo delicatissimo discernimento?
Come si può notare, è vero che i media hanno parlato solo di “frociaggine”, ma dietro questo infelice sostantivo – di cui Francesco si è apertamente scusato – c’è molto altro. Una teoria di domande che non possono essere risolte su un social o in un bar. Riuscirà la Chiesa a iniziare a rispondere prima che le risposte della storia la travolgano? Sarà possibile parlare di tutto questo senza sentirsi terribili bigotti reazionari o fomentatori di eresie progressiste? A chi la Chiesa sta rispondendo in questo momento? Alle istanze dei tempi o al volto del suo Signore? È chiaro che le battute – e il clamore che suscitano – passano presto. Ma i temi, tutti questi temi, restano. Negli occhi e negli sguardi delle persone che ogni giorno li vivono.
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