Finestra su Piazza San Pietro, Papa Francesco affacciato all’ora dell’Angelus. “La guerra è sempre una sconfitta, fermatevi!”. La benedizione delle 12, poi è il pranzo o il digiuno per la pace, in religioso silenzio.
Il 24 ottobre scorso su Repubblica è uscita una vignetta di Mauro Biani. Un papa impotente e solo, l’eco della sua stessa voce che risuona, apparentemente nessuno ad accoglierla. Simboliche e rituali telefonate di vertici di un mondo fatto a sfera, poi più nulla. Non è il pontefice ad essere muto, ma le orecchie degli stessi capi di Stato a rimanere chiuse. “Effatà! che vuol dire: ‘Apriti!’ E gli si aprirono gli orecchi” (Mc 7, 31-37). Intanto, Rafah è solo un’isolata coincidenza.
Posto che soppesare un attacco terroristico e la reazione di uno Stato, con ripercussioni sui civili di un altro Stato, ha il solo effetto catastrofico di scassare la bilancia – fuor di metafora, l’equivalente di affamare migliaia di civili e di fare sfollati cioè, per inciso, niente di più e niente di meno di quel che già stiamo vedendo – il papa continua a proporre la pace. Due Stati, ben delineati, per ritornare a dialogare come due parti.
Francesco si è espresso così proprio la sera dell’1 novembre, quando Rai 1 ha ospitato l’intervista del direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci. Una voce saggia fuori da un coro stonato. Le parti fisicamente coinvolte sono il solito capro espiatorio, alla base di questa guerra, ma anche del conflitto tra Russia e Ucraina, della guerra in Myanmar, delle tensioni nel Nagorno-Karabakh, e di questa disumana terza guerra mondiale a pezzi. Ad essere additate, le industrie di armamenti. L’Iron Dome come uno sfoggio muscolare, e tunnel sotterranei come colpi di scena. Intanto gli interlocutori più o meno diretti giocano a braccio di ferro e urlano al vento, tra pretesti storici di vecchi errori a cui riparare e mercati finanziari da tenere a galla, lobbying come fantasmi tra cittadini più o meno consapevoli. Le vite degli ostaggi vengono lesinate con il contagocce e il futuro di migliaia di civili viene stroncato.
“Nella guerra uno schiaffo provoca l’altro. Uno forte e l’altro più forte ancora e così si va avanti. La guerra è una sconfitta”, afferma il pontefice. L’unica strada per vincere è tentare di decostruire l’odio, in un conflitto che perde sempre di più le ragioni iniziali. Rinnegare la portata storica delle ferite, subite e inflitte, sarebbe un grave errore. Non tentare di arginare la violenza non sarebbe da meno, se non peggio. “Ma a voi che ascoltate, io dico: ‘Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano’” (Lc 6 27-28).
Ad oggi, ad accomunare le parti resta la soddisfazione per l’eliminazione dell’altra, e la carne umana che sanguina. Il Papa prega per il cessate il fuoco, Netanyahu ribatte che è tempo di guerra. Intanto, gli aiuti umanitari da parte di Italia e Francia ai civili della Striscia di Gaza.
Abituarsi alla guerra non può essere il gioco che resta di infanzie derubate a Sud della nostra penisola, tra sensi di colpa di bambini che non capiscono l’odio di adulti che evitano di incrociare lo sguardo.
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