Nel 2016, uno studio del dipartimento di psicologia dell’Università di Oslo, pubblicato su Appetite, ha analizzato i modi in cui le persone tendono a dissociare la carne di cui si nutrono delle sue origini animali. I risultati hanno mostrato come ci siano dei fattori che fanno la differenza: ad esempio, presentare il piatto senza la testa dell’animale o comunque “trasformato” o utilizzare parole diverse, come “manzo” invece che “mucca”, invoglia le persone a mangiarla. Questo perché ai consumatori piace mangiare carne ma allo stesso tempo spesso questi amano gli animali e non vorrebbero causar loro dolore. Esiste dunque una “dissonanza cognitiva”, nota come “paradosso della carne”.
Nonostante aumentino gli argomenti etici che portano a non mangiare, la macellazione aumenta di anno in anno. Nello specifico, aumenta il consumo di pollame: in questo caso spesso gli animali vengono allevati in condizioni di maggiore sovraffollamento rispetto a quanto succeda con i bovini. “Non avrei mai potuto prevedere che lo stile di vita vegano e quello carnivoro potessero crescere di pari passo nella stessa società” ha spiegato il filosofo australiano Peter Singer, come riporta Il Post.
Cos’è il “paradosso della carne”
Secondo uno studio pubblicato nel 2010 su Appetite, esiste un “conflitto psicologico” tra il gusto alimentare delle persone per la carne e la risposta morale alla sofferenza degli animali. Infatti proviamo empatia verso gli animali ma la nostra architettura cognitiva è strutturata in maniera da dar priorità ai cibi, indipendentemente da altre valutazioni. Per questo, le persone applicano diverse soluzioni secondo Loughnan, Haslam e Bastian. La prima è smettere di mangiare carne. Un’altra è “indebolire” la relazione tra animali e carne, ad esempio, riuscendo a percepire in maniera diversa il manzo che si mangia o la mucca che pascola in campagna. Infine, la terza via è privare gli animali di uno status morale e negare la loro capacità di soffrire, spiega Il Post.
In uno degli esperimenti dello studio del 2016 dell’Università di Oslo, si è visto come le pietanze a base di carne trasformata resero i partecipanti meno empatici nei confronti dell’animale macellato rispetto alle pietanze a base di carne non trasformata. Dunque per il consumatore medio – che non prende parte alle varie fasi della macellazione dell’animale – l’acquisto di carne in una fase avanzata della trasformazione facilita il processo di dissociazione. In un altro esperimento, invece, la vista di un animale vivo in una pubblicità di carne aumentò l’empatia verso l’animale e il disgusto per la carne.