Mentre la lista dei morti si amplia ogni giorno di più e mentre l’ottima capacità della Lombardia di rispondere in maniera efficiente lo stesso in mezzo ad una catastrofe sanitaria e sociale, non sono pochi quelli che si interrogano sui possibili errori che Governo e Regione avrebbero commesso nella fase iniziale della pandemia da coronavirus. Ieri uno studio di Harvard (QUI LA NOTIZIA) raccontava come Lombardia e Veneto in realtà, pur essendo tra le più colpite e con i maggiori decessi, sono state tra le migliori nella reazione al dramma scatenato dal Sars-Cov-2, ma resta un dato: alcuni errori e ritardi sarebbero stati possibili da evitare? Secondo le ultime analisi del Corriere della Sera (a firma Santucci, 29 marzo) e Quotidiano del Sud (Francesco Specchia, 31 marzo) una “antica” delibera dell’ultima giunta Formigoni (con assessore alla sanità Luciano Bresciani) avrebbe potuto, forse, evitare questo disastro o quantomeno limitare i problemi iniziali.
«Si impone attenta riflessione e analisi per procedere ad un’eventuale manutenzione del piano pandemico affinché si faccia tesoro delle criticità insorte», si leggeva così nell’allegato alla Valutazione inserito successivamente alla delibera della Regione Lombardia a guida Formigoni il 22 dicembre 2010. Si trattava di un articolato e molto complesso piano anti-pandemia messo in atto nel pieno dell’emergenza suina (influenza H1N1) in realtà poi mai arrivata pesantemente in Italia.
IL PIANO DI FORMIGONI E BRESCIANI NEL 2010 RIMASTO INASCOLTATO?
Un piano anti suina e pandemie rimasto nel cassetto per 10 anni e che non è stato applicato dalla Giunta Fontana-Gallera: sicuramente sono passati tanti anni e molti punti sarebbero dovuti essere rivisti (come le tecnologie a disposizione oggi o anche il personale attivo) ma era una buona base di partenza. In quella delibera si faceva il punto di cosa si sarebbe potuto migliorare dei piani anti-pandemia in atto fino a quel momento, con relativo programma di migliorie rimasto però “inascoltato” per un decennio fino a quando una vera pandemia, il coronavirus, non ha fatto purtroppo capolino in maniera prepotente nel nostro Paese e nella colpitissima Lombardia. Come riflette il Corriere, all’epoca si dovevano definire accordi con i medici di medicina generale per «l’ampliamento dell’assistenza in fase 6» (ovvero la pandemia dilagata), ma nella verifica del 2010 si legge: «Non sono stati siglati accordi».
Era indicato poi anche un incremento necessario dell’assistenza domiciliare che avrebbe potuto affrontare meglio e senza “focolai” potenziali negli ospedali la malattia: «sarebbe stato necessario avere una rete efficiente di medicina del territorio, per isolare in anticipo i casi sospetti e curarli prima della necessità di un ricovero», ripete il virologo del Sacco Massimo Galli ormai da inizio epidemia. In quel piano della giunta Formigoni-Bresciani era scritto nero su bianco il necessario utilizzo di quell’ampliamento ma è purtroppo rimasto anche questo nel cassetto. Lo scorso 23 marzo la Regione Lombardia ha fornito ai medici di base linee guida assai simili a quelle già presenti nel piano del 2010, ma purtroppo ormai la pandemia era già esplosa: secondo Specchia i focolai domestici sono quelli innescati da una tardiva azione sul territorio, «la pandemia domestica derivante da una quarantena sbagliata in famiglia di contagiati accertati o di soggetti sintomatici i quali continuano a passare il morbo agli altri componenti del nucleo casalingo». Il coronavirus sarebbe arrivato comunque ma forse sarebbe stato “limitato” e frenato nei numeri che invece oggi contano 6818 morti e quasi 30mila contagiati positivi.