Il posto fisso non si lascia. Mai”. Copyright Checco Zalone e di qualche milione di italiani che hanno vissuto, da Pirandello in avanti, all’insegna della cadrega statale.

Dapprima furono poco salario, poche pretese, pochi anni di lavoro. Poi vennero le riforme pensionistiche e i 15 anni 6 mesi e un giorno di lavoro utili a maturare la pensione finirono nel pozzo dei sospiri degli anziani e nelle battute invidiose degli esclusi. Seguirono cervellotici tentativi (cervellotici sì ma forse proprio per questo riuscitissimi) tesi a complicare il lavoro pubblico, pardon, a renderlo più snello e moderno.



Non di meno l’italiano medio si adeguava, sopportava, affannosamente resiliente in nome del sogno di un contratto pubblico.

Alla fine, però, anche la proverbiale epica sopportazione dei tanti Zalone nostrani ha dovuto inchinarsi davanti alla pressione del nemico. Almeno stando a quanto risulta a Repubblica, il trend cala, l’ansia “fissista” si sarebbe placata, la brama da dipendenza statale si starebbe lentamente mitigando.



Oddio, parliamoci chiaro: i 15 bandi indetti tra 2021 e 2022 sono pur sempre stati presi d’assalto da “soli” 265 mila candidati, cifra inferiore al solito ma comunque imponente. È un po’ presto insomma per dire che il posto di lavoro potrebbe anche non essere più fisso e che il sogno fantozziano si va evolvendo verso nuovi modelli di impiego, ma resta il dato di una lenta diminuzione degli aspiranti travet pubblici.

I giovani guardano anche all’impiego statale, ma lo fanno soprattutto quelli delle facoltà da cui escono in misura maggiore i futuri liberi professionisti e che si rivolgono a un mercato più saturo (architettura, economia, giurisprudenza) e provenienti dalle regioni meridionali. Ma dobbiamo anche pensare che, nel sogno di molti tra essi, il posto pubblico costituirà solo una parte del loro reddito, perché laddove possibile e autorizzato è del tutto credibile che svilupperanno una seconda attività professionale, privata, più remunerativa.



E così arriviamo al punto: perché nella vita ideale del Checco nazionale, ai pochi rischi, all’impiego a bassa redditività e ai privilegi di varia natura, doveva affiancarsi comunque un salario adeguato. O almeno, adeguato a vivere laddove il costo della vita è parametrato sullo stipendio medio del dipendente pubblico.

Livello medio che però è ben lungi dal rappresentare il livello medio italiano. Il che crea un dilemma in tutti i potenziali Checco Zalone: posto fisso va bene, ma poi come ci campo con quel salario a Milano.

Meglio, insomma, una cipolla nell’Ufficio Tributi di una amministrazione provinciale al Nord o un cavolfiore in qualche azienda che a 76 anni di età mi chiede ancora di fare uno stage per verificarmi? E se stessi a casa mia cosa potrei ottenere? Sarà mica che con un lavoretto precario se non in nero accompagnato magari da un sussidio potrei pure permettermi se non una bisteccona almeno un bel pezzo di carne lessa?

Più che alla sociologia, insomma, a nostro avviso bisogna ricondursi all’economia per capire come stanno ragionando i Millennials davanti alla prospettiva di un contratto pubblico: più che una supposta evoluzione radical-culturale a nostro avviso servirebbe infatti interpellare gli Uffici del personale e le misuratissime progressioni salariali e di carriera ricomprese nei Contratti nazionali dei diversi comparti pubblici.

Preparazione universitaria ormai generalizzata, percorsi internazionali di formazione, sguardi costantemente tesi fuori dai confini italici rendono oggettivamente meno attraente la mitica equazione su cui si basa il patto di lavoro tra lo Stato e i suoi italici figli: nessun rischio ma salari bassi e via andare.

Noi non siamo sociologi (tra i nostri immensi difetti questo almeno ci è stato risparmiato), per cui non possiamo intrattenervi spiegandovi con parole dotte ciò che il vostro buon senso di italiani medi vi ha già fatto capire, ma a naso avanziamo l’ipotesi che il posto fisso andrà sempre più perdendo attrattiva, almeno tra chi aspira a qualche qualifica medio alta.

Ma siamo certi che lo stesso discorso si può fare per le qualifiche medie e medio basse? Non disponiamo di dati indiscutibili, ma l’esperienza e qualche ricerca a nostro avviso riconfermerebbero il consueto successo dell’atavica aspirazione a un contratto per la vita. Pochi, maledetti e subito, come si diceva nell’Italietta che qualcuno vorrebbe scomparsa, ma che, a giudicare da certi indicatori, pare tutto meno che morta.

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