Il Problema dei 3 Corpi, la nuova serie fantascientifica prodotta da Netflix e distribuita il 24 marzo, apre una nuova era per il genere “vicini alla fine del mondo”. Per la prima volta, infatti, non abbiamo di fronte a noi il rischio imminente di un’invasione di alieni e soprattutto il mondo intero nell’attesa si divide in due, tra chi vorrebbe accogliere gli extraterrestri e chi invece vorrebbe respingerli.
La serie è tratta dall’omonimo romanzo del popolare scrittore cinese Liu Cixin. Non è quindi un caso che tutto ha origine in Cina agli inizi degli anni ’60, in piena rivoluzione culturale. È proprio una giovane e talentuosa fisica, Jin Cheng, spedita ai lavori più umili per le sue idee scientifiche, a dare vita all’intera storia. Coinvolta casualmente in un progetto scientifico gestito in gran segreto, riesce a inviare nello spazio un messaggio alla ricerca di specie aliene. Con sua grande meraviglia dopo poco riceve una risposta che conferma l’esistenza di esseri viventi in altre galassie. Lei decide di tenere segreta la notizia ai suoi superiori e alle altre potenze straniere, che pure hanno avuto sentore della sua scoperta. Jin stabilisce così con gli extraterrestri una comunicazione diretta, e con l’aiuto di Mike Evans, un ricercatore americano conosciuto in Tibet, fonda una setta di sostenitori dell’idea che l’arrivo degli alieni sulla terra sarà l’occasione di salvezza.
In realtà, l’arrivo di cui si parla è previsto tra 4 secoli. Questo però non impedisce ai governanti del lontano pianeta di voler condizionare le scelte dei terrestri. O almeno di questo sono sicuri gli affiliati della setta di Jin e Mike, che sono convinti di comunicare e di ricevere ordini dal pianeta lontano tramite le antenne sistemate su un’enorme nave container in giro per gli oceani. L’obiettivo degli extraterrestri è molto chiaro: impedire che, nei 400 anni che mancano al loro arrivo, gli scienziati della terra possano riuscire a colmare il gap che ancora li separano dal loro livello attuale di conoscenza.
La trama continua così ad alternare momenti di azione, sopratutto fatta di scontri armati tra la squadra speciale diretta dall’agente segreto Thomas Wade (interpretato da Liam Cunjingham, il Davos Seaworth di Trono di Spade) e le milizie degli affiliati, a lunghe discussioni filosofiche. Le scelte etiche e morali a cui sono chiamati i nostri protagonisti, soprattutto i giovani scienziati coinvolti (tra cui Jack Rooney, interpretato da John Bradley-West, anche lui noto per il Samwell Tarly di Games of Thrones), mettono in discussione molte certezze, e soprattutto confermano che la ricerca scientifica non è mai un percorso a senso unico.
La sensazione è che la bella serie abbia però deluso le attese di chi si preparava ad accoglierla come l’evento dell’anno. In realtà, pur non essendo il fenomeno televisivo del momento, si tratta di una delle migliori serie in circolazione, con effetti speciali straordinari – in particolare le ricostruzioni delle stanze virtuali dove i nostri prescelti parlano (o presumono di parlare) con gli alieni – e con una trama intrigante e ricca di spunti di riflessione. In particolare, il racconto si spinge su un terreno particolarmente interessante dove si incrociano il culto della scienza e la dimensione religiosa, entrambi essenziali per soddisfare il bisogno di credere nella possibilità di trovare una soluzione accettabile al futuro dell’umanità.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI