Ogni volta che si vota in una regione si discute sulla «valenza nazionale» di quella tornata elettorale. È successo di recente anche in Trentino, quando la fiammata del centrosinistra aveva riacceso un’illusoria speranza di riscatto, e in Molise, patria di Antonio Di Pietro espugnata dal centrodestra. A metà febbraio toccherà alla Sardegna, dove andrà alle urne il doppio degli elettori delle altre due regioni, e già questo misura la posta in palio. Ma sull’isola dei Quatto Mori pesa soprattutto il fattore Soru, il governatore che con le sue dimissioni a sorpresa ha scombinato entrambi gli schieramenti.



Soru è una figura molto complessa. È stato un imprenditore di grande successo, che con Tiscali ha cavalcato l’onda della «new economy» e ora sembra incapace di gestirne la profonda crisi: il titolo della società telefonica è crollato, il piano industriale non convince investitori o osservatori della finanza internazionale, e grava il rischio di 250 licenziamenti su circa 800 dipendenti in Italia. Forte però di una immagine ben costruita e di solidi agganci nella grande editoria, sancita dal recentissimo accordo con la Sorgenia di Carlo De Benedetti, e approfittando della profonda crisi del centrosinistra, Soru ha governato «alla sarda», cioè da padre-padrone.



La cosiddetta legge «salvacoste» e la tassa sul lusso hanno segnato la sua amministrazione. La prima ha impedito l’attività edilizia sui litorali e nell’entroterra, salvo le deroghe concesse direttamente dalla giunta regionale con lo strumento dell’«intesa»: e l’opposizione ha buon gioco nel sostenere che Soru di fatto ha avocato a sé (non alla coalizione ma proprio alla sua persona) ogni decisione in materia, attribuendosi un potere discrezionale pressoché illimitato. Una politica contestatissima nella sua stessa maggioranza, al punto che il governatore a metà novembre è stato sfiduciato proprio su un emendamento riguardante l’urbanistica. Anche la tassa sul lusso è stata un fallimento: ha allontanato i turisti più ricercati, cioè quelli che spendono di più, e danneggiato l’immagine dell’isola, prima di essere sconfessata dal governo «amico» di Prodi e smantellata per il 90 per cento dalla Consulta. Ora la regione è impegnata a restituire il denaro indebitamente incassato.



Ma Soru ha azzardato una partita più ambiziosa guardando anche a Roma: pur non essendo organico ai vecchi diessini (la sua è una lista civica), ha tentato di insediarsi al vertice del Partito democratico sardo attirandosi l’insofferenza di capi e militanti. Dalle liste elettorali ha escluso chi aveva due mandati alle spalle promuovendo il rinnovamento ma consolidando l’ostilità dei «colonnelli». Con l’acquisto dell’Unità e l’appoggio del gruppo Espresso-Repubblica ora sembra puntare addirittura al posto di Walter Veltroni.

L’enorme contenzioso giudiziario sollevato dalle sue decisioni potrebbe costargli un rinvio a giudizio per il caso Saatchi: l’appalto di un progetto di comunicazione sembra fosse noto in anticipo ai futuri vincitori. L’inchiesta della procura di Cagliari è chiusa, si attendono a giorni le richieste del pm al gip. Molti prevedono guai per Soru, che non avrebbe potuto ricandidarsi a giugno con una pendenza giudiziaria così gravosa sulle spalle: per questo avrebbe preferito giocare d’anticipo. La mossa ha costretto il centrosinistra a ricompattarsi attorno a lui e scombinato le strategie del centrodestra, che non aveva ancora individuato il candidato da contrapporgli.

Incassato il rifiuto di Beppe Pisanu, Berlusconi ha puntato su Ugo Cappellacci, da pochi mesi coordinatore regionale di Forza Italia, assessore del comune di Cagliari dopo esserlo stato in regione. Un volto nuovo, un «non professionista della politica» di quelli che piacciono tanto al Cavaliere, ma semisconosciuto e più propenso a tirare di fioretto che di sciabola. Una figura tutta da costruire. Per questo il premier ha deciso di sostenerlo in prima persona, dedicando alla campagna elettorale in Sardegna tre fine settimana consecutivi. Sconfiggere Soru significa riprendere una regione importante, ma soprattutto ridimensionare uno dei leader emergenti del Pd che in caso di vittoria potrebbe dare molto fastidio al centrodestra.