Approfittando del fatto che l’attenzione dell’Italia tutta era concentrata sul caso Santoro e le signorine da lui esibite in prima serata televisiva ad Annozero, Gianfranco Fini ha preso una decisione clamorosa quanto passata sotto silenzio, o quasi. Ha deciso di rinunciare al Lodo Alfano riguardo a una querela ricevuta dal pm Henry John Woodcock, quello delle pruriginose inchieste sui Savoia e sulle vallette.
Il presidente della Camera l’aveva detto subito dopo l’approvazione del Lodo: non se ne sarebbe avvalso. Non avrebbe evitato inchieste e processi durante il suo mandato istituzionale. Fini è persona di parola, le sue origini sono quelle di un uomo tutto di un pezzo, dunque la sua decisione non dovrebbe sorprendere. Invece suscita parecchi interrogativi perché giunge alla vigilia del pronunciamento della Corte costituzionale sul lodo: la Consulta infatti si riunisce martedì per cominciare a esaminare la questione di costituzionalità sollevata da varie procure, tra cui quella di Milano.
La mossa di Fini fa inevitabilmente pensare all’ennesima presa di distanza dell’ex leader di An da Silvio Berlusconi, l’ultima di una lunga serie, addirittura su un fattore cruciale per la sopravvivenza stessa del governo e della maggioranza di centrodestra. E autorizza i maligni a ipotizzare anche che il presidente della Camera volesse lanciare un segnale preciso ai giudici costituzionali, una sorta di via libera alla bocciatura. Tanto più che Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, aveva fatto immediatamente giungere a Fini il suo apprezzamento.
Dicono che Berlusconi fosse infuriato quando gli è stata comunicata la notizia. E che ci sia voluto del tempo per il suo portavoce, Paolo Bonaiuti, per tranquillizzarlo. Bonaiuti aveva ricevuto una telefonata dall’onorevole Giulia Bongiorno, legale di Fini. L’avvocato parlermitano aveva spiegato che dietro la rinuncia alle prerogative del Lodo non c’erano intenti “separatisti” né un allontanamento dall’impegno a limare gli attriti preso reciprocamente dai due leader del Pdl, quanto la volontà di tener fede a un obbligo assunto a suo tempo che – se non rispettato – avrebbe potuto essergli rinfacciato.
Alle rimostranze di Berlusconi, Bonaiuti ha usato un argomento che ha convinto il premier: il tempismo delle procure. Fini ha fatto quello che doveva fare, sono stati i tempi della giustizia a costringerlo a esporsi a ridosso del pronunciamento della Consulta. La tesi di una giustizia a orologeria, se non “pilotata”, si è consolidata poche ore dopo, quando è scoppiato quello che potrebbe trasformarsi in un devastante terremoto per le aziende di Berlusconi: la sentenza del tribunale di Milano (primo grado) che obbliga Fininvest a risarcire Carlo De Benedetti per il danno patrimoniale provocato dalla corruzione dei magistrati che giudicarono il lodo Mondadori. Sono 750 milioni di euro (1.500 miliardi di lire) che il Cavaliere dovrebbe versare all’editore di Repubblica
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Il premier preso nella tenaglia dei due lodi, Alfano e Mondadori. Nella battaglia con i giudici sembra non dare risultato neppure la strategia attendista di tenere ferme la riforma della giustizia e la legge sulle intercettazioni. Berlusconi potrebbe però seguire l’esempio di Fini, visto che Woodcock ha ritirato la querela dopo il gesto del presidente della Camera: la “sensibilità istituzionale” ha compensato l’offesa ricevuta (Fini aveva definito “fantasiose” le inchieste del pm lucano). Magari Berlusconi rinuncia al Lodo Alfano e tutte le accuse contro di lui vengono ritirate. Magari.