L’immagine di Silvio Berlusconi che passa le notti a Palazzo Chigi, lontano dalle case della Brianza e dalla residenza romana di Palazzo Grazioli, lontanissimo da amici e serate mondane come pure da appuntamenti istituzionali, è emblematica. Un uomo solo con una montagna di problemi.

Breve riepilogo. La crisi economica. Le tensioni tra ministri. Gli strappi di Gianfranco Fini. Le pretese di Umberto Bossi. Un partito che non decolla. I processi in corso. Le nuove inchieste delle procure. Le aperture a Pd (sostegno a D’Alema come ministro degli Esteri europeo) e a Casini (alleanze alle regionali) non ricambiate dall’appoggio alla riforma della giustizia. Il divorzio «per colpa» chiesto dalla moglie Veronica. Le sentenze che toccano non più soltanto la sua persona ma il patrimonio e quindi la famiglia e forse minacciano la sopravvivenza stessa delle sue aziende. A tutto ciò si aggiungono i rischi per la sicurezza: sarebbero i timori legati all’attività di cellule terroristiche islamiste a costringerlo a barricarsi dentro Palazzo Chigi, nuova fortezza Bastiani.

Finita la stagione delle emergenze, il Cavaliere fatica a ritrovare il passo riformista. La bocciatura del lodo Alfano ha paralizzato il premier al quale sembra sfuggire sia il controllo del governo, dove cresce il nervosismo tra ministri, sia soprattutto il rapporto con Gianfranco Fini.
Berlusconi non sopporta le mediazioni della politica, i tempi lunghi richiesti dalla tessitura e ricucitura dei rapporti con alleati e oppositori. Il suo dna di imprenditore gli rende indigesto quello che in realtà è il cuore della politica, cioè la composizione degli interessi, l’arte di trovare una sintesi e un punto di unione. «Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica», disse il cardinale Ratzinger.

 

 

Berlusconi ha sempre delegato questo compito a Gianni Letta. Ora, assorbito dai guai personali (giudiziari, patrimoniali, familiari, terroristici) sembra voler tagliare corto su tutto il resto. O con me o contro di me. Volete farmi la guerra? Benissimo, andiamo in campo aperto. Combattiamo, vediamo quali armi avete e che cosa siete capaci di fare. Cresce così il numero di personalità, come Francesco Cossiga, che lo spingono a rovesciare il tavolo, smettere di temporeggiare e provocare la crisi.

In fondo, il suo successo come politico è sempre stato quello di essere un non-politico, un «uomo del fare». La lezione del precedente governo è eloquente: Berlusconi che si fa mettere sulla graticola dai vari Follini, Casini, Fini e si fa rosolare a fuoco lento sulla brace dell’indecisione e dei veti incrociati è destinato a finire male. Da più parti gli viene rimproverato un eccessivo silenzio, sintomo di indecisione.

Berlusconi decida: cerchi una mediazione, rompa con Fini, trovi nuove idee, insomma faccia qualcosa ma non indossi i panni dell’Andreotti di vent’anni fa, che di rinvio in rinvio fu travolto dall’onda di Tangentopoli. Tuttavia, chi conosce bene Berlusconi non si preoccupa più di tanto. Sa che il Cavaliere è un personaggio dalle mille risorse, capace di trasformare le sconfitte in vittorie.

«Più è solo meglio è», mormorano coloro che gli sono vicini da anni, perché le crisi non sono mai prive di sbocchi e se il premier tace vuol dire che sta preparando qualcosa. Il «Riformista» teme sia «una svolta alla De Gaulle». Ma per ora è tutto nella mente di Silvio.