Abbassare i toni: è un ritornello valido per tutte le occasioni, una musica «evergreen», un consolante stornello della buonanotte. Abbassare i toni, come se bastasse un ordine di scuderia per cambiare le cose. Come se la politica fosse la manopola di un impianto stereo: una manina delicata modula il volume a seconda delle circostanze. Abbassare i toni è la colonna sonora anche del dopo-aggressione a Silvio Berlusconi.



Ma che cosa significa nei fatti? Nelle ventiquattr’ore successive al ferimento del premier tutti l’hanno ripetuto ma non tutti vi si sono adeguati.

Antonio Di Pietro ha tuonato che il Cavaliere quel mini-duomo in faccia se l’è andato a cercare. Rosi Bindi ha espresso solidarietà ricordando però che «Berlusconi non deve fare la vittima» mentre «deve finirla di attaccare le istituzioni in modo violento». Rinfacciare la violenza a un signore ricoverato in ospedale con il naso rotto e due denti spaccati non è proprio un contributo a rasserenare gli animi.



La lezione invece l’ha subito appresa, e immediatamente applicata, Pierferdinando Casini. Chi è stato vicino al premier nelle ore successive all’agguato racconta che Berlusconi era sbalordito per il clima ostile nei suoi confronti, ma che fosse particolarmente amareggiato per l’uscita del leader dell’Udc. Sabato alla «Stampa» Casini aveva auspicato la formazione di una sorta di fronte di liberazione nazionale dall’«uomo nero» Berlusconi, facendo capire che anche Fini avrebbe potuto essere della partita.

PROSEGUI LA LETTURA DELL’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO

 



Proprio Casini, che stava trattando sottobanco una serie di accordi strategici con il Pdl in vista delle imminenti elezioni regionali. Dopo l’aggressione milanese, Casini ha doverosamente espresso la solidarietà sua e del partito al ferito, dopodiché si è defilato. Non solo la strategia del «fronte democratico alternativo» è destinata al fallimento, ma è difficile che Berlusconi possa scendere a patti con l’Udc.

 

Il fallimento dell’ammucchiata anti-Berlusconi (che doveva comprendere Casini, Fini, Bersani, Di Pietro e forse Rutelli) è certificata dalla visita del presidente della Camera al San Raffaele. Fini sembra rientrato nei ranghi, perché in questo momento l’imperativo di abbassare i toni riguarda anche le schermaglie interne al Pdl. Sulle quali Berlusconi aveva pur detto qualcosa nel comizio precedente l’aggressione. Dal palco, il Cavaliere aveva sottolineato che il Pdl è «un partito democratico, non oligarchico»: non soltanto non è una monarchia (come sibilato più volte da Fini) ma nemmeno un affare a due.

Vigono le regole democratiche, gli organismi fanno le scelte e il partito si adegua. Nota per l’ex leader di An: anche tu ti dovrai adeguare.

 

L’altro messaggio in bottiglia di domenica riguarda il tesseramento al Pdl. Berlusconi punta a un milione di iscritti, che significa il doppio delle tessere che due anni fa cumulavano Forza Italia e An. Ma significa anche lo stravolgimento dei rapporti di forza tra i due vecchi partiti maggiori. Ora le cariche nel Pdl sono ripartite secondo la regola del 70 per gli ex Forza Italia e del 30 per gli ex An. Chiusa la fase delle sottoscrizioni ai gazebo, secondo le «regole democratiche» la distribuzione delle poltrone non sarà più decisa in un braccio di ferro, ma in base al peso delle tessere.

Anche questo è un avvertimento a Fini: occhio che rischi di scivolare su posizioni sempre più marginali.

 

Al capezzale di Berlusconi è corso anche Pierluigi Bersani. Bel gesto. Che forse ha messo una piccola pezza sullo strappo della Bindi. E ha abbassato (un po’) i toni.