Battesimo del fuoco per il neonato Popolo della libertà, che ha affrontato la prima grana della sua breve vita con gli alleati della Lega Nord. È successo che, siccome il decreto sicurezza rischiava di non passare per l’ostruzionismo dell’opposizione, il governo è sceso a patti con il centrosinistra: via le ronde dal decreto (entreranno in un successivo disegno di legge, che inevitabilmente avrà tempi più dilatati). Ma durante la votazione a scrutinio segreto il governo è andato sotto sull’allungamento del periodo in cui gli immigrati clandestini devono restare nei Cie (Centri di detenzione ed espulsione). Il decreto sicurezza è stato dunque approvato alleggerito e depurato di due cardini.



Nel centrodestra è esplosa la rabbia della Lega Nord, che vede snaturato un provvedimento fortissimamente voluto. La furia del Carroccio, manifestata dal ministro Maroni («un indulto per i clandestini») fino all’ultimo dei peones padani, è sfociata nella classica vendetta trasversale poche ore dopo, quando è passata una mozione del Partito democratico sulle banche. Il governo è andato sotto nuovamente, e questa volta perché i deputati leghisti erano usciti dall’aula.



Come al solito, è partita la caccia al colpevole, agli assenti e ai franchi tiratori. Tuttavia la questione non si esaurisce alle schermaglie d’aula per tre motivi: primo, il governo ha barattato le ronde con l’eliminazione dell’ostruzionismo; secondo, ha evitato di porre la fiducia sul provvedimento che così sarebbe stato messo al riparo da ogni modifica; terzo, il governatore siciliano Raffaele Lombardo, leader del Mpa che è una piccola ma significativa componente del centrodestra, ha detto chiaro e tondo di non essere d’accordo «né con le ronde né con i centri di espulsione».



I leghisti hanno urlato al «tradimento» minacciando di far saltare le candidature comuni alle amministrative. Due dei tre coordinatori del Pdl hanno gettato acqua sul fuoco. Denis Verdini, ex Forza Italia, ha parlato di «incidente di percorso»; Ignazio La Russa, ex An, di «12 scemi che hanno usato il voto segreto in modo che non fa loro onore» riferendosi ai franchi tiratori. Probabile che ci sia stato qualche intoppo tra capigruppo e deputati del Pdl; Carroccio, Forza Italia e An sono sempre state coese sui temi della sicurezza dai tempi della Bossi-Fini, benché Berlusconi settimane addietro abbia preso le distanze dai leghisti più intransigenti.

È dovuto scendere in campo il numero uno per sistemare le cose. Umberto Bossi ha chiamato Berlusconi e ha dettato alle agenzie: «Metteremo tutto a posto». A ruota Federico Bricolo, capogruppo leghista al Senato, ha precisato che «la norma sulle ronde è solo posticipata». Come dire che la sostanza resta, cambiano soltanto i tempi di approvazione. Incidente rientrato, dunque. Ma la Lega ne ha approfittato per scaldare i motori della campagna elettorale.

Alla vigilia delle competizioni in cui corre da sola – in questo caso, le elezioni europee – il Carroccio alza immancabilmente i toni contro gli alleati e nei prossimi mesi c’è da aspettarsi altre baruffe nel centrodestra per conquistare i voti del Nord. È una tattica di guerriglia che Bossi ha messo a punto negli anni: manda avanti i guastatori, solleva il polverone, infine mette pace dopo aver fatto passare l’immagine di un partito padano «duro e puro» contro gli alleati «mollaccioni».

È per questo che il Pdl farebbe bene a evitare incidenti di questo tipo. Soprattutto su un argomento come le ronde, affondate dal centrosinistra che però le organizza sistematicamente nelle città che amministra: a Firenze operano le «Sentinelle antidegrado», a Genova i «volontari per il presidio civile», a Modena le «guardie ecologiche volontarie», a Vicenza il sindaco Variati vuole organizzare una scuola per ronde mentre a Padova Zanonato sembra più rondista di Maroni.