Uno spettro si aggira per le redazioni dei giornali italiani: quello della solitudine di Silvio Berlusconi. Un uomo solo al comando, come diceva l’epico radiocronista Mario Ferretti: «Ha la maglia biancoceleste della Bianchi, il suo nome è Fausto Coppi». Sulla maglia è rimasto soltanto l’azzurro-Pdl, assieme alla fama del campionissimo.

Berlusconi è solo. Fini lo sperona da ogni parte come una motovedetta con gli scafi degli immigrati. Bossi lo punzecchia su referendum e gabbie salariali. Napolitano gli addebita la xenofobia italica. Gli amici del “Foglio” notano che «è finita la luna di miele con gli elettori». I contabili del Pil allargano il baratro della crisi.

E poi c’è il caso Noemi, la diciottenne che con il suo candido «papi Silvio» ha terremotato il Cavaliere peggio che un sisma giapponese: divorzio in vista unito a un calo dell’immagine pubblica. Non del consenso politico, quello è in lenta ma costante ascesa, come il Mibtel di Piazza Affari ai tempi d’oro: basta poco, uno zero virgola ogni giorno per tenere lontani i fantasmi del crollo. I sondaggi mostrano che ben poco è cambiato nell’opinione degli italiani, popolo pragmatico in grado di valutare le cose fatte. È il giudizio sull’uomo Silvio Berlusconi che ha subìto un brutto colpo, e chi conosce il premier sa che lui ci tiene forse più che al gradimento politico.

Vista la difficoltà dell’avversario, Dario Franceschini vi si è tuffato come può. Rischia di fare più danno la campagna di stampa lanciata da “Repubblica”, con le famose dieci domande su Noemi sulle quali il presidente del consiglio ha sorvolato con stizza. Chi bazzica le redazioni sa che quella della raffica di domande è una specie di carta della disperazione da giocare quando non si hanno cartucce migliori.

Se “Repubblica” sapesse davvero come sono andate le cose, se i segugi di Ezio Mauro avessero in mano documenti inoppugnabili, non avrebbero bisogno di chiedere conferma. Siccome invece non hanno nulla, alimentano un’inchiesta moribonda con l’arma della provocazione diretta. Berlusconi tace, dunque ha qualcosa da nascondere: questo è il sillogismo. Vittorio Feltri ne era un maestro, cominciò con Affittopoli, era il 1995. Per mesi battagliò sulle case date ai politici per quattro soldi. I politici se ne fregarono, a parte D’Alema, e lo scandalo morì.

Oggi il “Giornale” martella da mesi Di Pietro con domande sul suo patrimonio immobiliare e sull’utilizzo del denaro del partito; ma Di Pietro tace. Hai voglia a strillare se il tuo bersaglio decide di ignorarti. La differenza è che se le campagne sono targate “Libero” o “Giornale” è paccottiglia orchestrata da killer su commissione, se invece sono griffate “Repubblica” sono doverose e autorevoli inchieste giornalistiche paragonabili a quelle della grande stampa indipendente americana che distrussero Nixon e provocarono la cistite a Clinton.

Semmai la cosa che incuriosisce non è il silenzio di Berlusconi, che tenta di esorcizzare la faccenda con qualche battuta sulle veline, ma piuttosto la sua irritazione verso “Repubblica”. Tacere è suo diritto quanto è diritto di Mauro porre domande, perciò replicare adombrando odio o invidia è un segnale di debolezza. Il caso è già creato: il premier è insolitamente muto, nel fine settimana si nega alla campagna elettorale nelle città, in consiglio dei ministri fa mancare la barzellettina di benvenuto, e poi quel Fini, quel Bossi, quel Napolitano…

Nessuno però prende in considerazione un aspetto: potrebbe essere che Berlusconi non abbia scheletri nell’armadio. Che non frequenti minorenni né che sia malato, secondo le insinuazioni della signora Veronica. Fosse così, si potrebbe forse capire l’amarezza del premier per la piega del suo matrimonio e la rabbia per aver trovato nel Pdl tanti imbarazzati silenzi e pochi difensori d’ufficio.

Per il premier si tratta comunque di superare indenne una decina di giorni: quando si entrerà nel vivo della contesa elettorale, e soprattutto dopo lo scrutinio, anche il fascicolo Noemi finirà in archivio. Sempre che «papi Silvio» non abbia proprio nulla di cui pentirsi.