Tutti a sfottere «papi Silvio» su Noemi, sulla condanna per corruzione dell’avvocato Mills, sul Milan che frana e i relativi sberleffi di San Siro per il Cavaliere e il pensionando Paolo Maldini. Ormai sono questi i temi della campagna elettorale; prepariamoci dunque a quindici giorni infarciti di pettegolezzi e sport con una spruzzatina di cronaca giudiziaria. E al centro c’è sempre lui, il presidente del Consiglio, protagonista assoluto sia quando lancia qualche proposta politica (come la legge di iniziativa popolare per ridurre il numero dei parlamentari) sia quando è bersaglio degli attacchi concentrici di stampa e opposizione per come passa il suo – diciamo – tempo libero.

Il Partito democratico si sta appassionando come non mai a questa corsa verso lo sputtanamento, Franceschini sembra il megafono di Dagospia e ci prendono gusto anche personaggi solitamente attenti alle cose della politica come Massimo D’Alema ed Enrico Letta: «Smettiamola di essere pudichi e inchiodiamolo», titolava ieri l’«Unità» un’intervista dell’ex sottosegretario prodiano che assomiglia a un «crucifige».

La svolta gossippara dell’agenda politica nasconde però le questioni che contano davvero e che preoccupano Berlusconi più delle cronache rosa. Una delle quali è scoppiata ieri, cioè la frattura in Sicilia con il movimento di Raffaele Lombardo. L’azzeramento della giunta regionale segna una grave frattura con il Pdl che, se davvero il governatore varerà un nuovo esecutivo anche con l’appoggio dal Pd, potrebbe diventare insanabile.

Altro cruccio è il rapporto con la Lega Nord. Gli ultimi sondaggi attestano il Carroccio attorno al caposaldo del 10 per cento su scala nazionale, il che significa che al Nord gli uomini di Bossi sono stabilmente sopra il 30 per cento, con punte (già registrate alle politiche dell’anno scorso) che consentono loro di essere il primo partito nel Nordest profondo, cioè in alcune delle zone più produttive del Paese. Il confronto tra Berlusconi e la Lega è meno appariscente del duello con Gianfranco Fini, ma non per questo meno acceso. Il Popolo della libertà e il popolo della Padania si giocano una partita importantissima: in palio non c’è solo la leadership nelle regioni italiane più avanzate e più competitive con Francia e Germania, ma anche un’ipoteca sul futuro del centrodestra. Il premier si trova così schiacciato nella tenaglia Bossi-Lombardo, che lo preme da Nord e da Sud.

Terzo motivo di preoccupazione per «papi Silvio» è l’immagine internazionale, incrinata dalle polemiche sulla sua vita privata. I sondaggi sul voto europeo non segnano inversioni di tendenza; l’appannamento riguarda piuttosto la figura di Berlusconi all’estero, a 40 giorni da un G8 che nelle intenzioni dovrebbe celebrare il genio italico capace di rialzarsi dal terremoto, e che invece rischia di trasformarsi nella passerella di un leader azzoppato.

Alla sinistra la virata sciampista di Franceschini potrebbe costare cara perché sta regalando spazio crescente ad Antonio Di Pietro, l’anti-Berlusconi duro e puro che accoglie a braccia aperte intellettuali organici e bertinottiani delusi. Anche la Lega cominciò così la sua impennata, raccogliendo cioè il malcontento di quanti non si sentivano rappresentati da nessuno dei partiti rimasti in piedi tra le macerie di Tangentopoli. L’Italia dei valori sogna di seguire lo stesso percorso che la porterebbe a incarnare la vera alternativa al partito unico berlusconiano.

Sullo sfondo, anzi veramente in lontananza, resta ciò di cui si dovrebbe discutere in questi giorni: l’Europa. La macchina parlamentare da cui ormai dipende oltre metà delle leggi nazionali, il moloch burocratico-lobbista che vorrebbe regolamentare ogni aspetto della nostra vita. Di Europa in questa campagna elettorale non si parla. Ma questo non rientra tra i grattacapi dei leader politici italiani.