D’accordo, Trento è una media città del Nord immersa nel benessere di una provincia/regione autonoma, dove le cose che funzionano sono molto più numerose di quelle da sistemare. Un’isola felice nell’Italia di oggi, poco rappresentativa della situazione complessiva del Paese; dunque il centrodestra ha buon gioco nell’archiviare in tutta fretta e in gran silenzio l’esito del voto per l’elezione del sindaco. Il Pdl, tuttavia, farebbe bene a non trascurare il voto di domenica.

A Trento si sono fronteggiati due candidati cattolici: Alessandro Andreatta, cattolico «adulto», insegnante all’Arcivescovile, ex Margherita ora Pd; Pino Morandini, vicepresidente nazionale del Movimento per la vita, consigliere provinciale da 25 anni, candidato del Pdl. Il primo ha sfiorato il 65 per cento, il secondo ha faticato a superare il 20. I numeri dicono che il centrodestra l’ha presa nei denti. In una fase in cui la popolarità del presidente del Consiglio non è mai stata così elevata, il giorno in cui il «Sole 24 Ore» di Gianni Riotta scodella un sondaggio che assegna alla premiata coppia Pdl+Lega oltre il 50 per cento delle intenzioni di voto (domenica la notizia prendeva metà prima pagina), alla vigilia della campagna elettorale per le europee in cui l’unica incognita è se la maggioranza di governo riuscirà o no a superare la fatidica soglia della metà più uno delle schede, ecco che a Trento la gioiosa macchina da guerra berlusconiana va a sbattere sul muro del 20 per cento.

Chiaro che bisogna fare tutti i distinguo del caso. La Lega andava per conto suo e il suo candidato ha avuto il 7 e mezzo per cento. Trento è una città tradizionalmente vicina al centrosinistra. L’amministrazione funziona, il welfare è davvero vicino alla gente e molto apprezzato, il livello dei servizi è elevato, la società civile è molto attiva e l’ente pubblico sostiene concretamente le realtà presenti sul territorio. Andreatta era favorito, mentre la candidatura di Morandini è saltata fuori come troppo spesso capita nelle periferie del centrodestra, cioè al termine di discussioni logoranti che danno l’immagine di aver scelto non il meglio ma il meno peggio.

Insomma, era piuttosto difficile ipotizzare un ribaltone in municipio. Ma era lecito aspettarsi un distacco meno profondo. Tra Andreatta e Morandini c’è invece un abisso. In autunno alle regionali Lorenzo Dellai vinse con il 57 per cento lasciando il 36,5 a Sergio Divina, leghista appoggiato da tutto il centrodestra. Ora la lista Pdl è precipitata l’11,9 per cento. Nemmeno nella sua fase più fulgida il berlusconismo riesce a fare breccia tra monti e valli.

Di qui a dire, come ha detto il povero Dario Franceschini, che solo a Trento c’è la vera Italia ce ne corre. Lo scorso novembre Veltroni interpretò la vittoria in Trentino Alto Adige come un’inversione di tendenza, salvo poi essere travolto dalle regionali in Abruzzo e soprattutto in Sardegna. Tuttavia il centrodestra farebbe bene a non fare come gli struzzi, seppellendo i risultati di domenica sotto la sabbia.

C’è un altro dato da rilevare, tutto interno al centrosinistra, ed è che il Pd (29,8) ha surclassato l’Unione per il Trentino, cioè il movimento di Lorenzo Dellai (17 per cento). Dellai fu l’ispiratore della Margherita ma non è entrato nel partito unico perché ambisce a ricostruire un centro moderato autonomista e popolare alleato con il Pd. Obiettivo che però sembra destinato al fallimento: il voto ormai converge attorno ai due grandi poli di attrazione emarginando le formazioni minori. Tendenza confermata dal disastro dell’Udc, che non raggiunge il 3 per cento.