La teoria del complotto è sempre una valida scappatoia nei momenti di crisi: si agita lo spettro della cospirazione, si descrive un intrigo internazionale a proprio danno, si passa per vittima e si cerca così di uscire dall’angolo. Diffidare dunque delle congiure planetarie, compresa quella che lo staff di Silvio Berlusconi tende ad accreditare in questi giorni, i cui ingredienti sono la «stampa comunista» a caccia di scandali privati, una campagna elettorale basata su ripicche e insulti, una giustizia a orologeria che si è fatta sentire con la sentenza Mills e starebbe per ritornare all’assalto del Cavaliere, per esempio con inchieste napoletane sui rifiuti pronte – si immagina – a trasformarsi in pesantissimi avvisi di garanzia nell’imminenza del G8. E poi il ritorno di un vecchio fantasma sempre in agguato, quello del governo istituzionale sostenuto da poteri forti nazionali e sovranazionali che troverebbe sponda in due illustri semi-disoccupati: Gianfranco Fini e Luca di Montezemolo.
A una settimana dal voto europeo (con l’Europa sempre non pervenuta in questa campagna elettorale), Berlusconi appare sempre più inquieto nonostante i sondaggi lo tranquillizzino largamente sull’esito. All’inizio sembrava che lo preoccupasse soltanto il danno di immagine, soprattutto all’estero: il leader che aveva affrontato con successo emergenze come la monnezza campana e il dopo-terremoto abruzzese, e sta facendo sì che l’Italia possa affrontare la crisi meglio di altri Paesi occidentali, ora arranca sotto i colpi incrociati sferrati dalle accuse della moglie e dall’incalzare del gossip giornalistico.
Ma in questi giorni si sono aggiunti altri grattacapi, più gravi, non sempre rilevati da chi ha deciso di affrontare la campagna elettorale come fosse il set di «Amici» o del «Grande fratello». Per esempio, c’è la brutta prova che sta offrendo di sé il neonato Pdl sul campo della prima competizione ufficiale. Berlusconi si lamenta di essere stato lasciato solo a difendersi dagli attacchi delle ultime settimane. In effetti, a cominciare da Gianfranco Fini (che di fatto è il numero 2 del partito), dal partito non si sono levate molte voci convinte per fare quadrato attorno al premier. Non c’è un solo slogan elettorale rimasto in testa agli elettori, e nemmeno un punto programmatico per l’Europa – uno solo – in base al quale il Popolo della libertà possa chiedere voti.
Non c’è mobilitazione popolare in vista delle urne. Il che potrebbe danneggiare il Cavaliere ancor più che il gossip sull’«harem» di Villa Certosa. Per esempio, tra una settimana Berlusconi potrebbe non avere il numero di preferenze che si aspetta. Perché non vuole essere soltanto il primo: vuole il grande slam, il record assoluto, italiano ed europeo. Purtroppo per lui, gli elettori non sono più abituati a scrivere le preferenze sulla scheda e molti, trovandosi il nome di Berlusconi già presente nel simbolo del Pdl, gli metteranno una croce sopra credendo così di averlo votato. Il resto della confusione arriverà dalle consultazioni per Comuni e Province: tre schede, tre sistemi elettorali diversi.
Restano poi il gelo con Fini e l’incandescenza con Lombardo, il governatore siciliano che ha messo in crisi il patto d’acciaio con il Pdl. A ciò si aggiungono le tirate d’orecchi del governatore di Bankitalia Mario Draghi, una in particolare: quella sulla necessità di riforme strutturali. In un anno di governo, finora non ne sono state fatte né messe in cantiere. Infine, è un brutto segnale per l’esecutivo anche la sconfitta di Fiat nella gara per Opel. Vero che Marchionne ha voluto giocare da solo, ma non è bello constatare l’assenza del governo italiano da una partita decisa da due governi (americano e tedesco) a favore di una cordata industriale sostenuta da un terzo governo, quello russo, finora grande alleato del Cavaliere.
C’è comunque un fronte su cui Berlusconi può stare tranquillo: quello dell’opposizione. Da lì pericoli per il premier non ne arriveranno.