Nonostante il leggero appannamento elettorale, l’Udc è tornata al centro dell’attenzione politica almeno in questi giorni di Ferragosto. Pierferdinando Casini è un po’ come il Barbiere di Siviglia: «Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono». È al centro dei giochi in vista del congresso del Pd: attorno alla scelta se siglare o no un’alleanza con i centristi si gioca una grossa fetta dello scontro tra Bersani e Franceschini. Ed è l’oggetto di una polemica parallela all’interno del Pdl. Il ministro Raffaele Fitto ripete che «con Casini dobbiamo tentare», il governatore veneto Giancarlo Galan aggiunge che la sua giunta, in cui Udc e Lega convivono e collaborano, è un modello di efficienza. Semina invece ostacoli a questi abboccamenti il leader leghista Umberto Bossi, che da Ponte di Legno rilancia le scuole in dialetto, straccia il tricolore e rispolvera le gabbie salariali: tutti temi scelti apposta per irritare Casini.
L’Udc ha fatto subito tesoro di tanta manna piovuta dai tersi cieli agostani. Michele Vietti, che scalda i motori per una candidatura alle regionali 2010 nel suo Piemonte, fa sapere che «tra Pdl e democratici sceglieremo in base alle proposte». È la riproposizione di un classico andreottiano: la politica dei due forni. Evidentemente Vietti parla perché ha il via libera del suo leader. Casini dunque perde qualche voto ma non peso politico, perché il suo gruzzolo di consensi potrebbe essere determinante alle regionali dell’anno prossimo.
Tra un Pd in calo e un Pdl in crescita (ma non più così impetuosa come negli scorsi mesi), i centristi potrebbero trasformarsi nell’ago della bilancia in più angoli d’Italia, dal Piemonte alla Puglia. Politica dei due forni significherebbe comunque per l’Udc alleanze limitate, non strategiche, che non leghino le mani. L’esatto opposto di quello che vorrebbero i due partiti maggiori.
Se Casini si offre, le reazioni più contraddittorie si registrano dalle parti dei berlusconiani. Dove ormai si profilano due fazioni: quelli che premono perché il Pdl riapra il dossier Udc soprattutto in funzione anti-Lega (un gruppo di pressione che non si limita al “partito del Sud” perché comprende anche il “cavallo pazzo” Galan), e quanti invece preferiscono tenersi stretto l’asse con Bossi. Che non a caso a Ferragosto da Ponte di Legno se n’è uscito contro i “democristianoni” redivivi.
Per ora sembra un’impresa difficile tenere insieme Bossi e Casini, che si azzuffano come galletti appena uno apre becco, anche se la prospettiva fosse limitata a poche regioni. Berlusconi non può perdere Bossi ma non può nemmeno farsi dettare l’agenda dalla guardia padana, e allo stesso tempo non può permettere che l’ex alleato centrista abbandoni quell’equidistanza che tutto sommato, dopo le elezioni dell’anno scorso, ha fatto più il gioco del Pdl che di uno sconclusionato Pd. Bossi è furbo e monopolizza la scena politica estiva. Il Cavaliere sembra lasciar fare. L’appuntamento vero è per l’autunno, che si annuncia caldo su più di un fronte.