Dopo alcuni anni di oblio, nelle ultime settimane in Italia è riemersa con forza la questione meridionale. In realtà essa è al centro dell’identità stessa del Bel paese. L’Italia moderna, quella vera, madre dell’Italia attuale, si è fatta con l’annessione del meridione, con lo sbarco dei mille di Garibaldi.
Quella spedizione, sostenuta dagli inglesi per ampi motivi geostrategici, diede un’altra dimensione al progetto di espansione sabauda che da allargamento territoriale di un piccolo regno tipo Belgio con capitale a Torino, si trasformò nell’invenzione di un nuovo grande stato europeo. Quella spedizione fu l’espulsione dell’influenza francese dallo stivale, che durava almeno dai tempi di Napoleone, ed era testimoniata dalla presenza delle truppe di Parigi a difesa della Roma papalina, e dall’uso del francese proprio in quel regno di Savoia che aveva guidato l’unità d’Italia. La distruzione del regno pontificio, elemento di continuità politica e ideale con l’impero romano, e per secoli freno all’unità politica dell’Europa e dell’Italia, era per Londra anglicana e “anti papista” uno degli altri convenienti risultati dell’iniziativa garibaldina e savoiarda. Ma millenni di divisioni non si dimenticano con un’alzata di spalle o poche fucilate di mille esagitati in camicia rossa. Così la nuova Italia fu subito tormentata dalla questione che prese il nome di “meridionale”.
Con il passare dei decenni, fino ad oggi la questione ha preso varie facce, quella dell’insurrezione nella guerra del brigantaggio, subito dopo l’unità nel 1860, quella della massiccia espulsione, attraverso l’emigrazione, della gente e dei briganti in America dopo la fine di quella guerra contro i briganti. Se si vuole usare un termine in voga oggi: la pulizia etnica di ora è il nome che si può affibbiare all’emigrazione ieri, visto che forse metà dei meridionali fu mandata all’estero per limitare la pressione sociale e politica in quelle nuove aree di conquista.
In Italia la questione meridionale prese un nuovo tono dopo la prima guerra mondiale, con tentativi di sviluppo in loco pilotati da Roma, e una continuazione più limitata della politica di espulsione-emigrazione. Arrivarono le politiche di sviluppo, le casse del mezzogiorno, l’emigrazione stavolta “solo” in nord Italia, insomma tutte le ricette buoniste e non semplicemente repressive applicate nei decenni precedenti. Esse tenevano conto che i meridionali erano una macchina di consensi, di voti, quelli cruciali nel dopo-seconda guerra mondiale che avevano fermato la vittoria elettorale dei comunisti.
Circa un secolo dopo la fine della guerra al brigantaggio, negli anni ’80 del ‘900 però Umberto Bossi fondò con la Lega un movimento separatista del nord. Esso altri non era che l’ammissione della sconfitta del progetto di unificare l’Italia. In altre parole Bossi parlava, e parla, sempre di questione meridionale, ma in altre forme: dicendo non ci si può fare niente, siamo diversi, bisogna separarsi. I dettagli della separazione possono essere discussi, ma in realtà sono, appunto, dettagli, perché quello che Bossi ha fatto è stata un’operazione garibaldina alla rovescia. Riconosceva il fallimento dell’unità e poneva il problema che l’Italia doveva, e deve, essere rifondata su altre basi che non siano il vecchio ingenuo sogno di Garibaldi.
Il presidente della regione Sicilia che nei mesi scorsi ha guidato la “rivolta” del sud contro il nord, e che per ironia della storia si chiama con un nome “leghista”, Lombardo, ha sancito dopo decenni di insulti leghisti che sì, questo matrimonio non si “aveva da fare” e che ora bisogna ricominciare da capo.
Il punto è questo ed è fondamentale: bisogna ripensare profondamente l’unità d’Italia, bisogna riaffrontare la questione meridionale. Questo implica che per l’Italia sono necessarie forme statuali diverse, soluzioni politiche particolari, come sono quella del federalismo fiscale, delle gabbie salariali (comunque le si vogliano chiamare) nell’ambito di un mondo che si è fatto più grande, che non sopporta i pesi piccoli, e di un’Italia, oggi peso medio, che è parte dell’Unione europea. Cosa sarà dell’Italia (o delle Italie) nel futuro, nell’ambito di un mondo dove l’asse strategico si è spostato sul Pacifico e dove emergono ipernazioni come la Cina o l’India, da oltre 1 miliardo di abitanti? Inoltre, rimane la sostanza storica che millenni di diversità non possono essere annullati ignorandoli. È da qui che bisogna partire, o ripartire.
Infine c’è l’oggi immediato. I problemi concreti oggi sono quelli di sviluppo. Il sud è arretrato, non in sintonia con il nord. Ciò perché manca imprenditoria, o perché è emigrata al nord (problema sociale) o perché c’è una cultura feudale che ha infestato anche il nord, e si manifesta nella mafia. Qui il principio è: io capo bastone sono padrone del territorio, perché ho la forza di impormi, non lavoro, non produco e voi mi pagate. La logica culturale è quella del vecchio feudatario.
Di fronte a questa cultura e questo potere ci sono in sostanza due cose da fare: venirci a patti o farci la guerra, o un misto dei due, cioè scegliere un gruppo mafioso, ottenerne l’accordo in cambio della collaborazione contro gli altri, concedere perdono e pretendere un cambio di natura della cosca “vincente”.
Tentativi simili sono stati compiuti in passato ma non si mai fatto nulla nell’ambito di una strategia finalizzata a sradicare questa idea feudale, che è un impedimento alla crescita economica e politica dell’Italia meridionale. La nuova economia non feudale, imprenditoriale deve affermarsi contro la vecchia economia feudale.
Il semplice sradicamento del potere feudale dei capi bastone senza sostituzione di cultura sociale e economica, cioè crescita dell’economia di mercato, come si chiama in Cina, dell’impresa moderna, porta solo alla ricrescita del feudalesimo rafforzato dalla crisi temporanea.
Per questo occorrono politiche di incentivi per investimenti e premi per le imprese che fanno profitti, non aiuti, che rischiano di essere succhiati dal potere feudale. Questo si può fare nell’ambito di una o due Italie. Ma certo se il sud comincia a crescere economicamente, il nord avrà un interesse a stare unito e il sud a staccarsi. L’Italia si fa solo se comincia da sud, come con Garibaldi, oppure, questa Italia, sarà davvero meglio spezzarla.