E adesso, pover’uomo? L’epilogo del caso-Boffo fa tornare in mente il titolo del libro di Hans Fallada, un capolavoro degli anni ’30 oggi dimenticato. Il «povero» non è il dimissionario (o dimissionato?) ex direttore dell’Avvenire, ma il nuovo quanto solidissimo direttore del Giornale. Venerdì scorso Vittorio Feltri ha lanciato la bomba della condanna per molestie di Boffo, il quale si è dimesso meno di una settimana dopo. Tra i lettori del Giornale, ma anche tra i suoi detrattori, ora gira una sola domanda: chi è il prossimo? A chi toccherà?
Quando si seppe che Feltri avrebbe ripreso le redini del quotidiano della famiglia Berlusconi, Giampaolo Pansa parlò di imminente “guerra civile”: Boffo lo ha ricordato nella lettera di dimissioni inviata al cardinale Bagnasco. Appena insediato, Feltri ha bombardato prima la buonanima di Agnelli (evasore fiscale), poi De Benedetti (editore svizzero, dunque evasore pure lui), quindi Boffo ed Ezio Mauro (il quale ha pagato parzialmente in nero l’acquisto di una casa, quindi è evasore a sua volta). De Benedetti ha ignorato le accuse, Mauro le ha respinte debolmente, Boffo ha scelto di tutelare la privacy sua e di altre persone fino al sacrificio di rimetterci il posto. Parallela all’offensiva feltriana si colloca la riscossa giudiziaria berlusconiana che querela Unità e Repubblica. È chiara la virata nella strategia comunicativa del premier, che abbandona il garantismo e il rispetto per la vita privata impugnando la scimitarra di chi ribatte colpo su colpo.
In tutti i casi citati, Feltri formalmente ha fatto il suo lavoro: ha pubblicato notizie. La condanna di Boffo è un fatto e chiunque avesse avuto quelle notizie e le avesse nascoste avrebbe insabbiato una parte di verità. Ma Feltri non si è limitato a dare la notizia: l’ha messa in prima pagina, a tutte colonne, sotto il titolo «Il supermoralista condannato per molestie», accompagnandola con un editoriale di cui vale la pena rileggere alcuni passi. «Mai quanto nel presente periodo si sono visti in azione tanti moralisti sprovvisti di titoli idonei. Ed è venuto il tempo di smascherarli. Dispiace, ma bisogna farlo affinché il pubblico sappia da che pulpito vengono certe prediche. Cominciamo da Dino Boffo». Quel «cominciamo» suona come un chiaro avvertimento che seguiranno altri smascheramenti. E poi: «Il problema è che in campo sessuale ciascuno ha le sue debolezze ed è bene evitare di indagare su quelle del prossimo». Secondo avvertimento: la categoria dei giornalisti nel campo delle debolezze sessuali non ha nulla da imparare da nessuno.
Feltri ha portato alle estreme conseguenze l’uso del gossip che altri avevano inaugurato e cavalcato. Il pettegolezzo può stroncare carriere lavorative, figurarsi carriere politiche. Il realismo impone di raccogliere questa lezione: la guerra del gossip è destinata a finire senza vincitori né vinti, è uno scontro frontale alla baionetta che lascia le trincee vuote e i campi di battaglia pieni di corpi sventrati. Ma il direttore del Giornale, attraverso Boffo, ha fatto di più, ha voluto colpire la categoria dei moralisti. La battaglia contro i moralisti è più legittima di quella contro il gossip? In realtà anche questo è un conflitto inutile. Certo, in ogni casa c’è del marcio. E allora? Che si fa? Dopo aver dimostrato che nessuno ha titoli per rimproverare nessuno, da dove si riparte?
Paradossalmente proprio il Giornale, al pari dell’Avvenire, ha fornito una possibile risposta pubblicando il discorso del mercoledì di Benedetto XVI. «Di fronte alla vastità dei vizi diffusi nella società – dice il papa parlando di Oddone di Cluny – il rimedio che egli proponeva con decisione era quello di un radicale cambiamento della vita. Dio persegue le colpe e tuttavia protegge i peccatori». Siamo tutti peccatori. Ma siamo tutti bisognosi di un abbraccio misericordioso che ci ama prima di giudicarci.