Dunque, è stata semplicemente una provocazione. L’euro-onorevole nonché magistrato Luigi De Magistris, visto il quarantotto provocato dalle sue sparate anti-premier («l’unico lodo possibile per Berlusconi è consentirgli di espatriare»), ha corretto rapidamente il tiro. Era una provocazione, ha rettificato. Un giochino facile: si va all’attacco, si vede l’effetto che fa, poi ci si regola. Se la cosa funziona, avanti; se invece scricchiola, dietrofront.
Chi conosce il giudice napoletano, non se ne stupisce. De Magistris ha impostato così tutta la sua carriera togata. Ha aperto fascicoli, inquadrato i bersagli, ed è andato alla carica. Inchieste che finivano come la neve di questi giorni: sciolte al primo sole. Intanto però sollevavano clamore, creavano «buoni» e «cattivi», e soprattutto mettevano nel mirino politici, imprenditori e «colletti bianchi» in modo da garantire la copertura mediatica. E lui poteva costruirsi la fama del castigamatti incompreso, perseguitato, vittima del sistema che voleva combattere. Far fuori il nemico per prenderne il posto. Tattica ora sublimata in un remunerativo seggio al parlamento europeo, e nella consacrazione a nuovo idolo di Grillo, Santoro, Di Pietro.
Dal 1996 De Magistris si è occupato di reati contro la pubblica amministrazione, e nessuno dei suoi indagati è mai stato condannato per reati amministrativi. Inchiesta su presunti abusi e violenze su anziani ospiti di una struttura sanitaria privata: 11 processi, 21 indagati, tutti prosciolti.
Indagine su presunte irregolarità nella costruzione del Palazzo di giustizia di Catanzaro: tutti prosciolti, richiesta di appello respinta.
Fascicolo sulla madre di una collega: archiviato. Indagine sul marito di un’altra collega: idem.
Sequestro di un villaggio turistico: 18 indagati, stop ai lavori per quattro anni, perdita dei finanziamenti, tutti prosciolti con lode per la «condotta corretta e trasparente». L’avvocato Massimo Di Noia, legale di Di Pietro, è arrivato a chiedere provvedimenti giudiziari contro De Magistris, soprannominato nel tribunale calabro «Gigineddu flop».
Il pm chiese anche un avanzamento di carriera. Ma il Consiglio giudiziario di Catanzaro bocciò la nomina a magistrato di Corte d’appello con parole di fuoco che pennellano il personaggio: «I procedimenti da lui istruiti, di grande impatto sociale perché istruiti contro i cosiddetti colletti bianchi, erano quasi tutti abortiti con provvedimenti di archiviazione, con sentenze di non doversi procedere e con sentenze ampiamente assolutorie». Essi si sono tradotti in «una serie numerosissima di insuccessi», di «procedimenti infausti e immotivati», di «errori evitabili ed evidenziati dall’organo giudicante», di «violazioni manifeste di legge, addirittura diritti costituzionali», di «tecniche di indagine discutibili». Una «patologia forse unica nel panorama delle iniziative di un pm».
Gli ultimi flop sono i più clamorosi. 2005, inchiesta «Poseidon» sul presunto uso illecito di finanziamenti europei per la depurazione ambientale, coinvolti tra gli altri Frattini, Fassino, Cesa, Chiaravalloti, l’ex presidente Anas: fascicolo avocato dal procuratore capo di Catanzaro per irregolarità procedurali.
2007, inchiesta «Why not» su presunte irregolarità legate alla gestione di fondi europei alla Calabria, indagati tra gli altri Prodi e Mastella: la procura di Catanzaro gli toglie il fascicolo per incompatibilità.
Quell’inchiesta ha fatto cadere il governo e provocato una grave crisi nell’amministrazione giudiziaria di mezzo Meridione, ma le posizioni di Mastella e Prodi sono già archiviate. A colpi di "fallimenti", De Magistris è diventato un protagonista della vita politica nazionale. Ora ha proposto l’esilio per il premier, «unica onorevole via d’uscita». Ma era una provocazione. Come la sua attività con la toga.