Come mai uno scenario all’apparenza favorevole si sta invece dimostrando un campo di ortiche per il centrodestra? Come mai Silvio Berlusconi e i vertici del Pdl non riescono ad approfittare della debolezza del Pd nella partita per le elezioni regionali?

Sulla crisi del Pd non ci sono dubbi. Caos totale in Umbria, con primarie che saltano, candidati che si ritirano, presidenti che non vengono riconfermati. Sbandamento in Puglia, dove un’incomprensibile strategia romana ha deciso per le primarie paracadutando una figura debole e destinata al fallimento come Francesco Boccia, un «dead man walking»: politicamente, s’intende. Sconcerto nel Lazio, dove Bersani ha dovuto piegarsi all’autocandidatura di Emma Bonino.



Incertezza assoluta in Calabria, dove ancora non si sa se si faranno le primarie. Tumulto in Campania, dove si punta sul sindaco di Salerno Vincenzo De Luca contro il parere di Antonio Di Pietro che non vuole votare un candidato sotto inchiesta. La vecchia militanza di sinistra si domanda come mai, per vincere, il partito erede del Pci non riesca a trovare personalità che dicano chiaramente «qualcosa di sinistra».



Se questo è l’antagonista, per i berlusconiani la campagna elettorale dovrebbe essere una comoda discesa. Invece no, il Pdl è in grado di complicarsi la vita da solo. Il Nord, è noto da tempo, è stato appaltato alla Lega. In Puglia il candidato voluto dal ministro Fitto, cioè il capogruppo Rocco Palese, è un ottimo mediano ma non certo un leader: e si sa che Berlusconi vorrebbe squadre piene di Ronaldinho o Kakà, non di Gattuso. 

Nel Lazio, Fini ha imposto Renata Polverini che ogni giorno inciampa in qualche gaffe, che può essere una dichiarazione sulle coppie di fatto o una scorciatoia fiscale per comprare casa. A Bologna, di fronte alle clamorose dimissioni di Flavio Delbono, il Pdl ha repentinamente spostato Giancarlo Mazzuca dalla regione al comune: e ora rischia di doverlo sacrificare se troverà l’accordo con l’Udc.



Il punto è sempre lo stesso: allearsi o no con il partito di Casini? Berlusconi, sostenuto dalla Lega, è da tempo per la linea del rigore, ritenendo che la scelta netta e trasparente di non cedere all’ondivaghezza dei centristi sarà premiata dagli elettori. Fini la pensa all’opposto, cioè che per vincere occorre raccogliere tutti i voti possibili. Il Cavaliere ha ragione in teoria, perché gli elettori non amano i «teatrini della politica» e mal digeriscono ricatti e voltagabbana. Ma i fatti dicono che senza l’appoggio dell’Udc è difficilissimo riconquistare sia la Puglia sia il Lazio e sarebbe impensabile anche solo ipotizzare una spallata in quel di Bologna.

Anche nel Pdl emerge lo stesso paradosso del Pd: la componente più forte, cioè l’ex Forza Italia, non riesce a esprimere candidati, a parte Formigoni e Biasotti (Liguria). E i veti incrociati impediscono ancora di consolidare il partito dei moderati: in Puglia, per esempio, i dissidi tra seguaci di Fitto, dell’Udc e della Poli Bortone non consentono di presentare una candidatura forte e condivisa nel centrodestra.

Dopo queste regionali, non ci saranno altre elezioni fino al 2013 (sempre che le Camere non vengano sciolte in anticipo). Tre anni in cui Pd e Pdl dovranno mettere mano ai rapporti di forza interni. Chi non lo farà, nel 2013 sarà già sparito.