È stata la giornata delle liste di centrodestra affondate per le regionali: quella del Pdl limitatamente alla provincia di Roma e il listino di Roberto Formigoni in Lombardia.

Due casi diversi ma dalle conseguenze potenzialmente disastrose per la maggioranza di governo: nel Lazio il vantaggio risicato di Renata Polverini su Emma Bonino potrebbe subire una pericolosa erosione, in Lombardia è a rischio addirittura la presentazione dell’intero pacchetto di liste legate al governatore in carica: la cancellazione del cosiddetto listino farebbe cadere anche tutte le liste provinciali collegate.

All’origine dei due episodi ci sono cause diverse. Quello lombardo sembra il problema meno grave: una serie di irregolarità formali nella raccolta delle firme a sostegno del listino. Con una puntigliosità con pochi eguali, la corte d’appello di Milano non ha ammesso 514 sottoscrizioni facendo scendere il totale a 3.421, cioè 79 meno della soglia minima di 3.500 firme valide. I motivi?

Mancanza del timbro tondo, della data di autentica, della qualifica dell’autenticante. Formigoni è certo che il suo ricorso (che verrà presentato entro le 14 di oggi) sarà accolto in base a una serie di precedenti sentenze del Consiglio di stato. Le irregolarità sono state denunciate dai radicali della lista Bonino-Pannella. I quali hanno contestato anche il listino di Penati: in questo caso, però, sono state invalidate solo 173 firme e non sono sorti problemi.

 

Discorso del tutto diverso nel Lazio. Qui alla radice di tutto non stanno violazioni formali ma un’oggettiva difficoltà politica del centrodestra che ha mandato in bestia Silvio Berlusconi. Nel Lazio An era più forte e organizzata di Forza Italia, e divisa non in correnti ma in rigagnoli facenti capo a questo o quel colonnello di Gianfranco Fini.

 

Con il partito unico, la formazione delle liste è diventata la tredicesima fatica di Ercole, con mille veti incrociati da superare all’interno dell’ex An e poi una successiva, estenuante mediazione con l’ex Forza Italia. Contese che neppure l’aggiornamento del manuale Cencelli potrebbe dirimere.

 

È così successo che, nella foga di apportare le ultime correzioni, i due rappresentanti pidiellini hanno mancato l’appuntamento per depositare la lista. L’inghippo provocato dalla conflittualità interna è la cartina di tornasole dei pessimi equilibri nel partito unico del centrodestra.

 

Queste lotte intestine hanno fatto infuriare il premier, che da sempre combatte contro i «professionisti della politica» e oggi si ritrova tra le mani un partito di politicanti, paralizzato dai veti e dai personalismi.

 

 

Il responsabile ultimo sarebbe stato individuato ancora una volta in Fini, impuntatosi anche in Campania su candidati che secondo le nuove regole delle «liste pulite» sarebbero dovuti restare esclusi.

 

Renata Polverini ha chiesto l’intervento del presidente Napolitano, il quale si è chiamato fuori. Eppure esiste il precedente di un capo dello stato intervenuto in una situazione analoga: era il 1995 e vari partiti, soprattutto di piccole dimensioni (tra cui i radicali che oggi fanno i legulei) non rispettarono le scadenze di legge.

 

Si sollevò un’ondata di proteste verso Oscar Luigi Scalfaro che convinse il governo Dini a varare un decreto legge con una proroga di 48 ore. Essa consentiva non solo di allungare i tempi ma addirittura di modificare o ritirare le liste già presentate, come testimonia Aldo Patriciello (oggi eurodeputato Pdl). Che in extremis fu inserito nella lista Ppi del suo Molise al posto di un altro candidato.