Sono tre le notizie che spiccano dalla manifestazione del Pdl sabato a Roma. La prima è che Umberto Bossi è salito su un palco per tenere un comizio nel cuore di Roma Ladrona. La seconda (che in realtà non è una novità ma una conferma) è che Gianfranco Fini è sempre più marginale nel partito berlusconiano. La terza è che di programmi elettorali, purtroppo, non si è vista nemmeno l’ombra. Dunque, non è sui contenuti che Silvio Berlusconi pensava di galvanizzare il suo popolo a una settimana dal voto regionale: come altre volte alla vigilia delle urne, il Cavaliere ha puntato tutto sugli attacchi ricevuti da opposizione e magistratura e sulla promessa di riforme epocali di cui però ha sfumato la sostanza. Fisco, giustizia e burocrazia saranno oggetto di una rivoluzione: d’accordo, ma quale? Come sarà il nuovo fisco? E la nuova giustizia? Dal cappello magico dal quale due anni fa Berlusconi estrasse l’abolizione dell’Ici, sabato sono saltati fuori soltanto centomila alberi da piantare.

Il corteo di piazza San Giovanni era nato come risposta alla manifestazione della sinistra organizzata dopo il «decreto interpretativo» del governo per fare riammettere le liste in Lazio e Lombardia. La risposta c’è stata. La partecipazione, per una volta, ha arriso al centrodestra, nonostante le polemiche stantie sul numero dei presenti: il Pdl, che per la prima volta dalla fondazione scendeva in piazza senza le bandiere di Forza Italia e Alleanza nazionale ma sotto un unico simbolo, ha dimostrato di avere una sua forza propulsiva e di mobilitazione attorno a Berlusconi.

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Sul palco il premier ha portato i candidati governatori assieme a Bossi, a sottolineare che l’asse di governo è quello. I pochi finiani «doc» come Della Vedova e Flavia Perina marciavano come mosche bianche. L’assenza e il successivo silenzio del presidente della Camera sono assordanti. Il grosso di quella che fu Alleanza nazionale era allegramente in piazza, con La Russa sottobraccio a Matteoli, la Meloni che correva con il megafono come ai bei tempi del Fronte della gioventù, Gasparri in maglioncino a reggere lo striscione. Il Pdl è Berlusconi, non Berlusconi-Fini, e la maggioranza è Berlusconi-Bossi. C’è da credere a Fini quando ha detto che «così com’è, il partito non mi piace». A lui non piacerà; ciò non toglie che il Pdl non è di plastica e in esso il presidente della Camera appare un corpo estraneo.

Resta da capire se la manifestazione sarà in grado di catturare i voti che contano, cioè quelli determinanti per assegnare la vittoria nelle regioni in bilico, Piemonte e Lazio in testa a tutti. E se riuscirà a scongiurare il vero rischio delle imminenti elezioni, cioè l’astensionismo che ancora una volta penalizzerebbe soprattutto il centrodestra. Dalla sua, Berlusconi ha soprattutto la pochezza dell’avversario. Negli ultimi giorni Bersani è stato incapace di dire qualcosa che non fossero giochi di parole o slogan a effetto, mentre i suoi si sono accaniti nelle polemiche sui numeri dei cortei o sul mancato duello televisivo tra i due leader. Se le questioni sul tappeto sono queste, anche gli alberi di Berlusconi sembrano una trovata geniale.