Aveva due regioni, Lombardia e Veneto. Ne ha conquistate quattro: Campania, Calabria e soprattutto Piemonte e Lazio, dopo Roberto Cota e Renata Polverini hanno combattuto scheda su scheda. Il centrodestra esce molto meglio del previsto dalle elezioni regionali.
Poteva finire 9-4, si è concluso con un 7-6, punteggio tennistico molto più accettabile di quello rugbistico.

La sinistra ha perso quattro governatori – di cui tre di grande peso – e la maggioranza nella Conferenza stato-regioni, cosa cui Silvio Berlusconi teneva particolarmente per cancellare la recente conflittualità soprattutto sul piano casa. Il premier e il governo hanno di che essere contenti. Il voto nel centrodestra ha però due facce.

Quella sorridente della Lega Nord e quella più incerta del Pdl. Per la Lega è un trionfo senza precedenti: due governatori del Nord, Veneto e Piemonte, quest’ultimo strappato con i denti dopo una difficile campagna elettorale contro il governatore in carica combattuta sull’onda della voglia di cambiamento.

Ai due governatori si aggiunge il sorpasso sul Pdl in Veneto, tappa di una lunga marcia che in futuro potrebbe regalare al Carroccio altre soddisfazioni, maturata grazie a un’immagine di compattezza interna e coerenza attorno al programma di riforme federaliste. Un risultato raggiunto nel quadro di un complessivo calo dell’affluenza alle urne, che poteva falcidiare la maggioranza come in Francia e invece ha colpito dappertutto.

 

Diminuiscono gli elettori ma la Lega avanza, segno che la disaffezione non tocca i seguaci di Umberto Bossi. È il Pdl che deve fare un profondo esame di coscienza all’inizio della Settimana santa. Il partito di Berlusconi ha retto, ma nulla di più. Ha pagato diversi errori. Scelte discutibili per i candidati: avesse trovato l’accordo con l’Udc in Puglia, per Nichi Vendola non ci sarebbe stato futuro. Avesse schierato personalità di maggiore spicco, forse avrebbe aperto partite nelle «zone rosse» di Emilia e Marche, dove l’exploit del neonato partito di Beppe Grillo ha penalizzato il centrosinistra in misura inaspettata.

Soprattutto, il Pdl ha pagato la posizione equivoca di Gianfranco Fini. Molti candidati del centrodestra, a campagna elettorale conclusa, testimoniano l’esasperazione di parecchi sostenitori incapaci di comprendere la strategia del presidente della Camera. Berlusconi, sceso in campo nel pieno del caos legato alla presentazione delle liste, ha impresso una svolta senza però sciogliere il nodo-Fini. Così è successo che il Pdl ha perso numerosi consensi passati alla Lega al Nord (significativo il sorpasso a valanga in Veneto) e andati dispersi al Sud.

È grazie alla Lega che questa maggioranza ha tenuto. Il Pdl invece, fino a quando si è gettato in campo Berlusconi, ha comunicato soprattutto l’impressione di grande litigiosità interna. Il risultato è dunque soddisfacente per la maggioranza di governo. La campagna elettorale è stata cattiva, avvelenata dalle polemiche sulle intercettazioni e sulle liste irregolari, segnata dal silenzio mummificato di Fini, caratterizzata da poco dibattito sulle regioni e soprattutto sul federalismo fiscale, una riforma sottovalutata. 

 

 

 

Rivince alla grande Roberto Formigoni (sfida tutt’altro che facile con Penati), l’unico governatore ex-azzurro visto che Cota e Zaia sono leghisti, la Polverini ex-An e Caldoro ex-Psi. I segnali di disaffezione nel Pdl sono però evidenti: astensionismo e perdita di consensi. 

Ora Berlusconi ha tre anni senza elezioni per fare uscire finalmente il partito unico dal rodaggio e risolvere le questioni in sospeso, in primo luogo il ruolo di Fini e poi il profilo riformista del governo. Altrimenti alle politiche del 2013 potrebbe esserci un nuovo travaso verso il Carroccio.