«Che pasticcio», commenta il Signor Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a proposito del caos in cui sono sprofondate le liste regionali del centrodestra in Lombardia e Lazio. Già, un pasticciaccio brutto dal quale il Capo dello Stato continua a mantenersi a debita distanza. Ci devono pensare i giudici, è una faccenda della magistratura, è tutto disciplinato dalla legge, e ci mancherebbe.
Però, c’è un però. Un precedente che risale a 15 anni fa, con un altro capo dello stato che in una situazione analoga intervenne per fare prevalere la legalità della sostanza su quella della forma, dei timbri e delle carte bollate. Successe nel 1995, governo Dini, presidente Scalfaro, elezioni regionali, quelle della immortale gaffe di Emilio Fede che basandosi su sondaggi poi rivelatisi inattendibili piazzò le bandierine di Forza Italia su quasi tutte le regioni, salvo poi toglierle precipitosamente.
In quel non lontanissimo 1995, alcuni partiti e partitini sparsi in numerose province non riuscirono a rispettare i tempi per depositare le firme di presentazione delle liste. Erano formazioni minori, non colossi come il Pdl di oggi. Ma reclamavano ugualmente – e giustamente – il diritto a partecipare alla competizione elettorale. Tra loro c’era anche il partito radicale, lo stesso che oggi batte i tribunali a suon di legalismo formale, a caccia di timbri e date.
Tanto dissero e tanto fecero, che anche i grandi della politica si convinsero a intervenire. Il governo preparò in fretta e furia un decreto legge con una proroga di 48 ore della scadenza, il presidente Scalfaro si sbrigò a firmarlo e la faccenda si risolse nel modo più logico, cioè consentendo a tutti i partiti di presentarsi davanti agli elettori.
L’episodio è svelato da un eurodeputato del Pdl, Aldo Patriciello, che sperimentò su di sé tutta la positività di quella norma. La quale non consentiva soltanto di allungare i termini di presentazione delle liste, ma anche di modificare o addirittura di ritirare gli elenchi già depositati. E lui fu uno dei beneficiati. Il Ppi, suo partito di allora, approfittò proprio di quella proroga per togliere dalla lista per le regionali in Molise il candidato Giuseppe Cernera e inserire Patriciello. Che così spiccò il volo verso la sua prima poltrona importante.
Il precedente non calza a pennello con la situazione attuale: allora infatti il decreto fu varato quando i termini stavano per scadere, mentre oggi il limite è già stato superato. Ma il senso del provvedimento rimane: se si vuole trovare una via giuridica per riammettere il primo partito italiano nelle due maggiori regioni italiane, la si trova.