Preceduto da una mossa irrituale di Italo Bocchino, che ha annunciato le dimissioni da vice-capogruppo dei deputati Pdl in un’intervista al Corriere della Sera, Gianfranco Fini ha inserito la retromarcia e ieri si è presentato all’appuntamento televisivo di Raitre con Lucia Annunziata rinfoderando la grinta esibita con Silvio Berlusconi nel durissimo faccia a faccia di giovedì. È stato un Fini diverso (a cominciare dalla cravatta, di un rassicurante azzurro al posto del rosa shocking), che non si è pentito di quanto detto ma ha messo in fila una serie di precisazioni concilianti.

Fini ha smentito di voler puntare alle elezioni anticipate, anzi ha dato dell’«irresponsabile» a chi alimenta questa ipotesi. Ha corretto il tiro su federalismo, leadership berlusconiana, riforma della giustizia. Ha negato di pensare a un nuovo partito e di avere «questioni personali» con Berlusconi, e ha garantito lealtà e «niente imboscate» parlamentari. L’opposto di quanto sostenuto in un’altra intervista televisiva (a Maria Latella su Sky) dal ministro nonché coordinatore del Pdl Sandro Bondi, che ha invece raccontato di «scintille» in serbo alla presidenza della Camera se lo scontro si fosse acuito.

Pochi minuti prima, in un’altra apparizione televisiva (questa volta a reti pressoché unificate), il presidente del Consiglio sceglieva un’ambientazione istituzionale e atteggiamento da statista per lanciare una sorta di nuovo patto costituente per le riforme. «Bisogna andare oltre il compromesso dei padri costituenti e accantonare le differenze politiche per costruire insieme l’Italia del futuro sempre nel rispetto della democrazia e della libertà», ha detto Berlusconi nel messaggio per il 25 Aprile.

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Le riforme devono «rinnovare la seconda parte della Costituzione» e «definire l’architettura di uno Stato moderno, più vicino al popolo con il federalismo, più efficiente, più equo e con una giustizia più giusta». L’appello è rivolto a maggioranza e opposizione per «scrivere insieme una nuova pagina condivisa della storia della nostra democrazia e della nostra Italia». Il premier dunque insiste sulla strada delle «riforme condivise» annunciata alla direzione nazionale del Pdl.

In questo è decisamente sostenuto dal presidente Napolitano, che non ha gradito la sterzata «politica» di Fini, preferendo che i presidenti delle Camere mantengano un profilo istituzionale senza scendere in contese. Berlusconi che apre alla minoranza è un segnale preciso al «co-fondatore» del Pdl: se non si allinea, rischia di tagliarsi fuori dal processo riformatore. Fini, uscito con le ossa rotte dal duello di giovedì, ora sembra il Veltroni del «ma anche»: leale ma anche distaccato, federalista ma anche a favore dell’unità nazionale, allineato ma anche non pentito degli attacchi.

Oggi sapremo se le dimissioni di Bocchino sono reali o semplice «ammuina» di uno scafato politico napoletano. I finiani sono all’angolo: anziché danneggiarlo, lo scontro nella direzione del Pdl ha rafforzato Berlusconi, che agita lo spettro delle elezioni perché nessuno dei suoi rivali le vuole, né Bersani né Fini. Per ora, ai frondisti del Pdl non resta che rientrare in trincea dopo una sortita poco fortunata, e aspettare. Tattica di guerriglia per una pattuglia che al momento pare disporre di poche truppe e ancor meno mezzi.