Stanco di stare affacciato alla finestra ad assistere ai movimenti degli altri partiti e a meditare sulla propria inattività, Pierferdinando Casini ha avviato da qualche settimana una silenziosa ma decisa manovra di riavvicinamento alla stanza dei bottoni. Incontri con ministri al riparo da occhi indiscreti. Appoggio a provvedimenti come il legittimo impedimento. Accordi locali (ma non da poco) come quello con il nuovo governatore laziale Polverini. Soprattutto qualche colloquio con esponenti leghisti, evidentemente non più visti come fumo negli occhi.

Nei dibattiti televisivi i leader dell’Udc ripetono che «in una fase di emergenza come questa occorre che tutte le forze vive del Paese diano un contributo all’uscita dalla crisi»: un messaggio che, letto tra le righe, è un gancio che i centristi lanciano per poter essere di nuovo coinvolti nella politica che conta. In questi due anni di opposizione al patto Pdl-Lega, l’Udc non ha guadagnato nulla. Ha avuto abboccamenti con i rutelliani fuoriusciti dal Pd. Ha sondato possibilità di intesa con i poteri forti che spingono Luca di Montezemolo. Più di recente ha provato, con tatto e discrezione, a scoprire il gioco di Gianfranco Fini. Ma nessuna di queste mosse si è dimostrata vincente.

Casini resta ai margini dei giochi, gli interlocutori scelti finora hanno poco peso e ancor meno voti. Nessuno di questi scenari, tuttavia, è ancora accantonato: venerdì e sabato al convegno di Todi l’Udc discuterà del futuribile «Partito della nazione» con Rutelli, non certo del riavvicinamento a Berlusconi. Il movimentismo di Casini & C. è visto in maniera diversa all’interno della maggioranza di governo.

Berlusconi maschera a fatica il suo interesse. L’appoggio di una parte dell’opposizione in questo momento di turbolenza economica, in vista della manovra di metà anno e delle grandi riforme da fare, può dare maggiore stabilità al governo e al contempo limitare la portata degli scossoni di Fini, destinati a ripetersi. 

Paradossalmente, anche il presidente della Camera considera con favore la mano tesa di Casini che potrebbe essere la base per un asse privilegiato tra i due leader. Magari non lo auspica, ma Fini non esclude una caduta del governo sotto il peso del fronte giudiziario: in questa eventualità, deve coprirsi le spalle per sperare di avere voce in capitolo.

Il problema maggiore per i centristi viene dal Carroccio. Umberto Bossi è categorico: Casini è inutile. «Finché la Lega tiene duro, il governo sta in piedi», ha ripetuto anche ieri. Ma ha aggiunto che «occorre dare segnali». In effetti, all’indomani delle elezioni regionali vinte dal centrodestra tutti nel governo hanno parlato di una stagione di riforme che si sarebbe aperta rapidamente, ma in questi due mesi nulla è stato fatto di concreto.

Ora pare che l’intervento più urgente sia diventato la riduzione degli stipendi dei parlamentari e i tagli al settore pubblico (malvisti dal ministro Brunetta). Il Senatùr chiede che il governo dia un segno evidente di voler uscire da una palude di immobilismo resa più pericolosa dal crescere di voci allarmanti sugli sviluppi dell’inchiesta che ha portato alle dimissioni del ministro Scajola. Per Berlusconi, Casini potrebbe puntellare il governo. Per Bossi, invece, Casini potrebbe incunearsi come un interlocutore in più con cui dover concordare ogni passo.