È partito l’attacco a Giulio Tremonti. Il dibattito sull’imminente manovra finanziaria e i relativi tagli sposta l’attenzione dal premier al ministro dell’Economia, che qualcuno arriva a paragonare addirittura al suo nemico numero 1, Vincenzo Visco, l’inventore della «tracciabilità» dei pagamenti in contanti. In questo bailamme, l’unico che tace è proprio Giulietto, tutto preso a meditare dove recuperare i denari che servono per raddrizzare i conti dello stato. Ovunque attorno a lui, invece, divampa la polemica: nell’opposizione, come è logico, ma anche nella maggioranza, dove c’è parecchia gente che non vede di buon occhio l’operato del ministro, anche tra i suoi colleghi.

I giornali sono ricchi di indiscrezioni delle quali è difficile verificare la fondatezza. Si parla di tagli al settore pubblico, alle pensioni, alla sanità, agli straordinari, ai trasferimenti, al federalismo, agli stipendi dei parlamentari, come pure di un nuovo (l’ennesimo) condono edilizio per sanare la pletora di abitazioni abusive totalmente sconosciute al catasto. I finiani sono «perplessi»; un ministro come Brunetta, il cui antagonismo con Tremonti non è un mistero, sostiene che «tutto è ancora da definire». Nel centrosinistra si punta il dito contro l’incertezza dell’esecutivo. In effetti Silvio Berlusconi sabato ha elencato con precisione che cosa non vuol fare (niente tagli a sanità, pensioni, scuola, università, niente «macelleria sociale») senza però precisare i provvedimenti che intende sostenere.

Eugenio Scalfari, nella consueta lenzuolata domenicale su Repubblica, sostiene che Tremonti ha commissariato l’intero governo mettendo in ombra lo stesso Berlusconi e portando l’Italia verso «una manovra con effetti depressivi». Salvo aggiungere che questa è una «strada obbligata», decisa dai vertici europei e che «perfino Obama» l’ha imboccata per fronteggiare la crisi bancaria, finanziaria e industriale. Scalfari difende Tremonti e anzi ritiene che «un voto contrario alla manovra da parte dell’opposizione non avrebbe alcuna giustificazione plausibile salvo discuterne le modalità sociali».

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Scalfari pro-governo? Tutt’altro. Il fondatore di «Repubblica» con l’omelia festiva insinua un cuneo tra Berlusconi e Tremonti. Li mette uno contro l’altro, li istiga, acuisce la tensione del momento. È una tattica nota, che l’opposizione (ogni opposizione) pratica abitualmente: anni addietro spaccarono l’asse Berlusconi-Bossi, più di recente ci hanno provato con Fini, adesso è il turno di Tremonti. Si individua un alleato forte del premier, gli si lanciano apprezzamenti e lusinghe per rompere il sodalizio e lasciare Berlusconi solo.

Difficile vada in porto l’operazione di separare Berlusconi da Tremonti, come non è riuscito il tentativo di portare Fini lontano dal centrodestra. Ma se la dissidenza dell’ex leader di An era tutta politica, ora con Tremonti ci sono di mezzo i conti pubblici, la tenuta del debito e la solidità della nostra economia. I cui capitoli più deficitari sono proprio quelli che Berlusconi non vuole toccare, cioè sanità e previdenza. Benché le elezioni non siano alle porte e il governo sia libero di prendere misure impopolari senza temere contraccolpi sulla propria stabilità, il premier tiene le carte coperte. Non resta che tagliare altre spese. Ed è lì che il silenzioso Tremonti si sta concentrando.