I tifosi del Silvio Berlusconi combattivo avranno esultato a sentire il ministro Elio Vito annunciare che il governo ha messo la fiducia in Senato sulla legge che regola le intercettazioni. Magari non avranno ben chiaro il contenuto del maxiemendamento che oggi sarà sottoposto ai membri di Palazzo Madama in sostituzione del testo più volte modificato in queste settimane: l’importante, per il popolo del centrodestra, era che il Cavaliere riprendesse il centro della scena politica. Cosa che è avvenuta con un nutrito fuoco di appoggio, cioè le esternazioni berlusconiane delle ultime 48 ore come quelle contro lo strapotere dei pm e l’«infernale governo» con questa Costituzione.
Dopo la vittoria alle regionali e gli annunci di grandi riforme da attuare nei prossimi tre anni privi di elezioni, Berlusconi era entrato in una specie di cono d’ombra. L’attività di governo aveva subito uno strano rallentamento e i riflettori si sono accesi su Fini, Tremonti, Bossi, Napolitano. Sui temi di maggiore attualità, dalla crisi economica al federalismo, dai rapporti interni al Pdl fino alle ipotesi di nuove architetture istituzionali, Berlusconi è apparso titubante e silenzioso. Il vuoto lasciato dal premier è stato occupato dai vari numeri due della coalizione, tanto che la manovra economica è stata interpretata da tutti come una sorta di «commissariamento» operato dal ministro dell’Economia nei confronti del capo. Il premier non ha nascosto l’insoddisfazione per le drastiche misure tremontiane.
Al pugno di ferro del ministro si sono accompagnati gli strappi di Fini sulle intercettazioni e quelli della Lega sui tagli agli enti locali, bacino di voti del Carroccio. Berlusconi ha opposto una strategia di strizzate d’occhio all’Udc con l’obiettivo inconfessabile di recuperare i centristi a scapito dei fedelissimi del presidente della Camera. Ma l’attendismo non è ciò che gli elettori di centrodestra chiedono al loro leader e i sondaggi hanno puntualmente registrato questo malumore.
Così Berlusconi ha scelto di tornare in prima linea con la blindatura del disegno di legge sulle intercettazioni e con la raffica di dichiarazioni di fuoco. La decisione sfida l’ostruzionismo dell’opposizione e interrompe, almeno per il momento anche il dialogo con l’Udc, che aveva trovato un buon punto di contatto nella proposta di Rocco Buttiglione sulle intercettazioni (considerare i Pm responsabili della segretezza degli atti, così come un comandante militare risponde delle azioni dei sottoposti). Meglio far approvare subito una legge che potrà essere migliorata in futuro, hanno pensato Berlusconi e i suoi strateghi, piuttosto che cuocere a fuoco lento sulla graticola delle interminabili mediazioni.
Questo gioco d’anticipo ha costretto Fini a riallinearsi (anche se non ha rinunciato a fare il grillo parlante, come dimostrano le parole puntute di ieri sul federalismo) e Bossi a rientrare nei ranghi, abbandonando la tattica del partito «di lotta e di governo». Nello stesso tempo, Berlusconi fa capire al Colle che l’interlocutore è sempre lui, e non l’inquilino di Montecitorio. Le decisioni sulla strategia del Pdl sono state prese nell’Ufficio di presidenza, che tornerà a riunirsi tra due settimane: è l’organo di cui Fini non potrà più lamentare l’inattività.
Ma il Cavaliere non rinuncia ad aperture, benché non si aspetti grandi cose: Berlusconi infatti ha detto che la manovra è migliorabile, cioè è pronto ad accogliere suggerimenti per nuovi provvedimenti che favoriscano lo sviluppo purché il saldo finale dei risparmi resti invariato. Vedremo se a questo ritrovato protagonismo seguiranno anche le grandi riforme finora soltanto promesse.