È un momento molto difficile per Silvio Berlusconi, nonostante i sondaggi tutto sommato positivi che Euromedia Research gli ha riferito. Secondo l’istituto di fiducia del premier, la popolarità del governo sfiora il 50 per cento e quella del presidente del Consiglio supera il 60. Tuttavia proprio la telefonata in diretta a «Ballarò» in cui il Cavaliere ha riferito questi dati (per ribattere alle rilevazioni di Nando Pagnoncelli) dà la misura del suo nervosismo.



Berlusconi è apparso seccato e maldisposto, tanto da rifiutare il contraddittorio attaccando frontalmente il servizio pubblico Rai accusato di parzialità. Tuttavia non si può dire che Floris non avesse dato voce al governo: in studio si stava battendo da par suo il ministro Giulio Tremonti, l’uomo chiave della manovra economica. A meno di non interpretare la burrascosa telefonata di Berlusconi come un avviso anche per il fidato custode dei conti: caro Giulio, nemmeno tu mi stai difendendo come si deve.



Dovevano essere questi i mesi in cui il governo lanciava il programma di grandi riforme per i prossimi tre anni senza elezioni. Invece l’Italia si ritrova in piena bufera economica dopo che Palazzo Chigi aveva sparso ottimismo a piene mani. E l’esecutivo vacilla, incapace di un guizzo e di formulare proposte innovative e condivise. La manovra non taglia le province né troppi costi della politica, è timida nel riformare le pensioni, fa presagire l’ennesimo condono edilizio.

Più che sulle riforme, il governo appare tutto preso dai rattoppi alla contestatissima legge sulle intercettazioni. E proprio su questo terreno si sono registrati nuovi scossoni di Gianfranco Fini e dei suoi. Per il presidente della Camera la materia delle intercettazioni è una specie di linea del Piave, una trincea dalla quale è impossibile retrocedere.



Pochi giorni Fini fa ha aperto uno scontro durissimo con il collega numero uno del Senato per il rinvio del testo in commissione. Ieri ha preteso un vertice del Pdl a Palazzo Grazioli per ammorbidire ulteriormente la bozza del provvedimento. E sul suo percorso, Fini ha trovato anche l’appoggio del presidente Napolitano, che sempre ieri festeggiando l’anniversario della Repubblica ha detto: «Penso che dal confronto ancora in corso possano uscire soluzioni, se non condivise da tutti, più accettabili per tutti».

Dalla sua parte, Fini ha un argomento convincente: la presidenza della commissione parlamentare Giustizia. Presidente è l’onorevole Giulia Bongiorno, avvocato di Andreotti a Palermo che ha assistito l’ex leader di An nella separazione dalla moglie e lo consiglia nella polemica sulle intercettazioni. Berlusconi e l’altro avvocato-deputato Niccolò Ghedini vorrebbero avvicendarla, ma rischiano che la battagliera Bongiorno possa catalizzare i voti dell’opposizione che le consentirebbero di restare in sella con 24 voti su 46. Uno smacco che il Pdl non potrebbe tollerare.

Ma i grattacapi per Berlusconi non riguardano soltanto i rapporti con Fini e Tremonti – il quale ha «messo la faccia» nella manovra molto più del premier e in Europa è considerato più rigorista – ma anche la Lega. Il Carroccio finora è stato l’alleato più affidabile perché voleva il federalismo fiscale; ma se la grave congiuntura economica dovesse imporre uno slittamento anche di questa riforma, le camicie verdi potrebbero aprire un nuovo fronte di tensione nella maggioranza.

Apparso determinato nelle emergenze di inizio legislatura (Alitalia, rifiuti, terremoto), premiato dal voto degli italiani, ora Berlusconi sembra meno lucido. Chi lo conosce, dice che sta preparando un colpo a sorpresa dei suoi. Ma è un ritornello che si trascina da tempo e di novità non c’è ombra.