«Ghe pensi mi», aveva garantito Silvio Berlusconi appena atterrato dal lungo viaggio americano. Ci penso io a raddrizzare questo povero Paese, era stato il messaggio: non posso mancare una settimana dall’Italia per impegni internazionali che me ne combinano di tutti i colori. La mano del premier si è vista. Se ne sono accorti soprattutto i suoi collaboratori più fidati. Mossa numero uno: dimissioni di Aldo Brancher da ministro. Mossa numero due: correzione della manovra nel senso non auspicato dal ministro Giulio Tremonti.
Il caso Brancher non si doveva neppure aprire. Invece l’apertura del premier alle richieste di Confindustria apre un «caso Tremonti». Nei giorni scorsi si era parlato di divergenze, anche gravi, tra il presidente del Consiglio e il titolare dell’Economia a proposito della manovra.
Troppo severo Giulio: è un ritornello che in consiglio dei ministri si ripete con regolarità. I colleghi se ne erano lamentati all’inizio dell’anno, quando volevano maggiori possibilità di spesa in vista delle elezioni regionali. In queste settimane hanno mugugnato ma con scarsa eco, visto che la pesante manovra economica è fatta in ossequio a direttive europee e segue sacrifici altrettanto (se non più) gravosi decisi da tutti i maggiori Paesi dell’Ue. Tremonti ha avuto buon gioco a imporre la sua linea del rigore opponendosi alle richieste di correzione.
Invece torna Berlusconi dal giro dell’America (Canada, Brasile, Panama), convoca Giulio ad Arcore per il pomeriggio di ieri, i due parlano per ore. E nel mezzo del colloquio, ecco una telefonata con Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, al termine della quale lei (e non i due leader della politica italiana) fa sapere che «le richieste degli industriali sono state accolte». Nelle stesse ore, il governatore lombardo Formigoni (in prima fila da giorni nelle proteste anti-Tremonti) dice che «con Berlusconi il dialogo si aprirà»: come dire, finalmente quel testardo di Tremonti viene messo da parte. Inoltre Federfarma parla di «rigore equo», Zaia assicura che «Berlusconi ricomporrà il mosaico» e Caldoro che «saranno valutati i comportamenti virtuosi».
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E anche gli artigiani e commercianti di Rete Imprese Italia, per bocca del presidente Carlo Sangalli, annunciano «che le nostre osservazioni sulle disposizioni della manovra in materia di riscossione e di compensazioni fiscali sembrerebbero essere state accolte dal governo». Si esprime perfino il solitamente riservato sottosegretario Gianni Letta, per il quale «è una giornata particolarmente calda per l’esigenza di far quadrare i conti dello Stato imponendo controvoglia dei maledetti tagli».
Insomma, la sensazione era che il ritorno di Berlusconi segnasse la ritirata di Tremonti il ghigliottinatore. Con il Cavaliere redivivo si poteva ragionare e trovare le mediazioni rifiutate dal ministro. Prima il passo avanti verso Confindustria, poi l’occhiolino strizzato ai commercianti, quindi le dichiarazioni fiduciose dei governatori. Con i quali presto dovrebbe esserci un incontro. Su questa scia, tutti i pretendenti di queste settimane sarebbero stati accontentati. Curioso destino per un governo che due anni fa aveva approvato una manovra triennale blindata promettendo che «non si sarebbe più visto il mercato delle vacche» degli emendamenti alla finanziaria, l’assalto delle lobby alla diligenza governativa di democristiana memoria.
Al termine del faccia a faccia di Arcore, Berlusconi annuncia però che sulla manovra il governo è orientato a porre la fiducia. Che «in Parlamento è stato svolto un buon lavoro» e che con Tremonti sono stati valutati «tutti i miglioramenti proposti e realizzabili, fermo il vincolo dell’invarianza dei saldi», cioè l’ammontare finale dei tagli. Ma chi pagherà alla fine il conto? Su chi si abbatteranno i sacrifici maggiori? E su quale testo verrà posta la fiducia?
Queste domande ancora non hanno risposta. «Il bene comune non è fatto dalla somma dei pur legittimi interessi particolari», dice Berlusconi «sotto la sua responsabilità e nell’interesse del Paese». Il che riporta Berlusconi al centro della contesa politica, restituisce spessore al lavoro di Tremonti recuperando un’intesa sfilacciata e mette in guardia chi sperava di cavarsela. A partire dalle regioni. Perché la sensazione è che la fase dei ritocchi sia finita.