Il finiano Granata che non esclude «alleanze inedite». Il ministro Frattini che censura come «golpismo politico» quelle confuse ipotesi. Il ministro Bossi che non teme, e forse sollecita, le elezioni a novembre. L’altro colonnello finiano Bocchino che, forte di una sparuta pattuglia di parlamentari, chiede le dimissioni dei coordinatori del Pdl.

Sarà anche vero che quest’estate, a differenza di quella 2009, sembra più difficile per Gianfranco Fini che per Silvio Berlusconi, ma lo spettacolo offerto dal centrodestra in queste settimane resta di scarso livello. Un anno fa eravamo alle prese con il tritacarne gossipparo delle Noemi e delle Patrizie, mentre ora ci si domanda quali saranno le conseguenze della frattura politica e delle sempre più fitte nubi giudiziarie (tutt’altro che fugate dalla nota di ieri pomeriggio) sulla casa monegasca transitata da An al “cognato” Giancarlo Tulliani.

Fini ha costituito suoi gruppi parlamentari senza uscire dal partito: una posizione imbarazzante. Berlusconi ha sfiduciato il presidente della Camera invitandolo a liberare la poltrona ma lasciando a lui la scelta: altro paradosso. Il governo voleva a ogni costo un’opposizione (di cui è incapace la coppia Bersani-Di Pietro) e se l’è creata al proprio interno. Il premier voleva semplificare la politica italiana e si trova avvolto in una matassa sempre più inestricabile. Il Cavaliere avrà riguadagnato punti preziosi nei sondaggi con la messa al bando delle truppe di Fini, ma non ha spianato la strada che si trova davanti. Il cammino dell’esecutivo appare in realtà più accidentato.

Berlusconi ha annunciato da tempo che avrebbe sfruttato agosto per “rifondare” il partito. Assieme al Pdl, dovrà rifondare anche l’azione di governo. I cardini saranno quattro, peraltro già presenti nel programma del 2008: giustizia, fisco, federalismo e Mezzogiorno. A settembre, alla ripresa dell’attività politica, il governo dovrebbe presentarsi alle Camere e chiedere una nuova fiducia su questi punti. Una specie di “tagliando” di metà legislatura, una mossa abile: si rilancia l’esecutivo, si precisano gli obiettivi e si costringe Fini a schierarsi limitandone gli spazi di manovra.

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Ma questo rilancio dovrà essere accompagnato da un’azione diplomatica tesa a una tregua interna al centrodestra, per la quale si stanno già muovendo alcuni “pontieri”. È infatti la guerriglia di logoramento che nuoce maggiormente al Pdl e che Berlusconi deve disinnescare per realizzare il programma. Rilancio e tregua vanno a braccetto, il presidente del Consiglio e quello della Camera devono negoziare un “modus vivendi” o “con-vivendi” per il bene del Paese.

 

Settembre infatti si annuncia ancora caldo sul fronte dell’economia, dell’occupazione e dei rapporti Nord-Sud. Finalmente il federalismo fiscale assumerà un volto definito, soprattutto si capirà se questa epocale riforma metterà o no (per usare un’espressione cara al premier) “le mani in tasca agli italiani”.

 

In questi anni gli italiani hanno perdonato tanto a Berlusconi (le vacanze allegre, i guai giudiziari, le promesse non sempre mantenute) confermandogli ripetutamente la fiducia. Su un punto il Cavaliere non ha ceduto: a differenza dei governi di centrosinistra, non ha mai alzato le tasse. Se ciò dovesse avvenire anche se per via indiretta (maggiori imposte locali con invarianza degli altri prelievi), più che la resistenza finiana Berlusconi farebbe bene a temere la rabbia dei suoi elettori.