Apertura o chiusura? Uno spiraglio di dialogo o un passo avanti verso le elezioni? Valgono di più le pesanti allusioni contro il premier o l’invito a «fermarsi tutti prima che sia troppo tardi»? L’attesissimo intervento internettiano di Gianfranco Fini sulla casa di Montecarlo, che ha mandato in tilt i siti legati al presidente della Camera per eccesso di contatti, è all’esame di Silvio Berlusconi e del suo staff. È stato un discorso abile, che può essere interpretato da diverse angolazioni, e dunque lascia alla controparte la responsabilità di decidere in quale senso leggerlo: se nella direzione di un segnale di disgelo o invece come un punto di non ritorno.
Secondo il «Corriere della Sera», Berlusconi ha paragonato il discorso di Fini alla sciagurata conferenza stampa dell’ex ministro Scajola sulla casa al Colosseo. Allusione poco simpatica per entrambi, che però dà la misura dell’irritazione con cui il Cavaliere ha accolto l’esternazione del presidente della Camera. Non ha digerito le sue frecciate sull’essere l’unico politico a non aver mai ricevuto un avviso di garanzia, sul «metodo Boffo», sulle società offshore, le barche, il denaro all’estero «a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse».
Con Berlusconi, dunque, le distanze restano abissali. Tuttavia il discorso di internet non è certo violento come quello di Mirabello. Fini non ha ripetuto le accuse di infamie o di lapidazione islamica; anzi ha ammesso di rimproverarsi «una certa ingenuità» e soprattutto ha parlato di dimissioni se «il signor Tulliani» risulterà proprietario della casa monegasca.
A differenza dei suoi scatenati pasdaran tipo Bocchino o Briguglio, i quali ancora poche ore prima garantivano che Fini aveva le carte in mano, l’ex leader di An ha ammesso di nutrire forti dubbi sul cognato. E ha innestato una clamorosa retromarcia sui servizi segreti, lodando la loro «lealtà istituzionale» e ribadendo stima verso Gianni Letta e Gianni De Gennaro.
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È stato osservato che se Fini avesse detto queste cose due mesi fa, probabilmente lo scandalo si sarebbe sgonfiato subito. Tuttavia i collaboratori più stretti di Berlusconi valutano con attenzione le ammissioni precedute da un incontro sabato mattina con Letta, sulle quali potrebbe aver influito persino il Quirinale, che nelle scorse settimane si è speso molto in difesa della terza carica dello stato ma non avrebbe potuto tollerare una difesa di Tulliani priva di prove incontrovertibili. Che evidentemente Fini non ha. O non intende esibire. Chi vuole proteggere Tulliani con il suo pervicace silenzio?
Fini dice che non ci sono reati, indagini a suo carico o uso di denaro pubblico. Ma neppure Scajola era indagato, né ha ricevuto avvisi di garanzia dopo aver tolto il disturbo.
Insomma, Fini ha tutt’altro che chiarito ma ha fatto qualche passo indietro, e intende usare questa parziale retromarcia per negoziare un nuovo accordo con Berlusconi in modo da evitare elezioni anticipate che probabilmente lo spazzerebbero via. Ora tocca al Cavaliere decidere se raccoglierà un guanto di sfida oppure una mano tesa.
Ieri alla festa milanese del Pdl il guardasigilli Alfano ha detto che il discorso di Fini era fatto «metà di risentimento e metà di ragionamento: noi però valorizziamo il ragionamento più che sottolineare il risentimento». Pare dunque che al momento le colombe prevalgano sui falchi. Ma tutto potrebbe riaprirsi se dopo la fiducia di metà settimana al governo (che pare scontata anche da parte di Fli) riprenderà la guerriglia delle truppe finiane.