Quali sono le vere novità dette da Gianfranco Fini a Mirabello? Non stanno nella sostanza, che era nell’aria. Il Pdl è finito, secondo l’ottica finiana: il sogno liberale è svanito, tradito da Silvio Berlusconi. Essendo una realtà morta, il Pdl non è in grado di riassorbire i gruppi di Futuro e libertà, che si avviano a coagularsi sotto forma di un partito o quantomeno di un movimento autonomo. Questo movimento chiederà un patto di legislatura a tre fra Pdl, Lega e appunto Fli. E nemmeno questa è una novità, perché negli ultimi giorni perfino un falco come Vittorio Feltri e uno stretto amico di Berlusconi come Fedele Confalonieri ammettevano che l’unica alternativa alle elezioni anticipate era la stipula di un nuovo accordo a tre. Finché dura.
Il principale contributo di chiarezza che viene da Mirabello sta nell’assicurazione finiana che Fli resta ancorato a destra. Il che significa niente «ribaltoni o ribaltini», niente terzo polo con Casini e Rutelli (anche se Fini ha invitato a guardare con attenzione alle proposte programmatiche dei centristi), ma piuttosto che la neonata formazione continuerà a rodere come un tarlo il tronco pidiellino. Critiche costruttive, ha detto Fini. Ma feroci.
Ed eccoci alla vera novità di Mirabello. Cioè i toni, l’atteggiamento complessivo di Fini. Un politico freddo, un calcolatore privo di emozioni che non parlava da mesi e ieri si è fatto prendere la mano dal risentimento e dal rancore. Sarà stata la pressione mediatica, il peso del prolungato silenzio, la presenza in prima fila della compagna Elisabetta Tulliani, del fratello e della cognata. Fatto sta che Fini il freddo è diventato Fini lo spietato.
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Del governo non si salva nulla. Del Pdl men che meno. Il lunghissimo comizio è punteggiato di ironie e sarcasmi mirati su tutti i primattori del Popolo delle libertà (Tremonti, Bossi, Calderoli, Ghedini, eccetera) che stonano in un discorso nel quale invece si invocava alla controparte moderazione, capacità di comprensione, accoglienza, tolleranza, mediazione.
La rottura appare insanabile più per il livello di rancore che per la situazione politica. Fini sa che le elezioni anticipate confermerebbero l’instabilità in quanto il Pdl non avrebbe maggioranza al Senato. Per questo ha evitato accuratamente di parlare di «nuovo partito» e ha steso tappeti rossi a un patto di legislatura a tre per arrivare assieme alla scadenza naturale del 2013. Poteva tratteggiare questo scenario accettando la mano tesa di Berlusconi, che sabato aveva tolto il processo breve dall’agenda della verifica. Invece Fini ha deciso di farlo con sfrontatezza, dando libero sfogo al livore e alla rabbia accumulati dopo l’ufficio politico di fine luglio che lo ha dichiarato incompatibile con il Pdl.
È un modo per accentuare le tensioni nella maggioranza senza darlo a vedere, anzi facendo passare il messaggio che la responsabilità è interamente altrui. Tra Fini e Berlusconi lo scarico delle responsabilità, dunque, continua. Un pessimo segnale per chi continua a sperare – o forse, a questo punto, illudersi – che davvero si possano evitare le elezioni anticipate e avviare quelle riforme di cui l’Italia ha vera urgenza.