Siamo allo showdown. Entro pochi giorni, il tempo necessario perché la macchina non del fango, ma dello sputtanamento, completi la propria opera, si capirà se il «caso Ruby» segnerà la fine delle inchieste su Berlusconi o la fine del premier stesso.
Se non avesse argomenti solidi, la procura di Milano non chiederebbe un giudizio immediato. Ma se non avesse altre frecce al proprio arco, Berlusconi non registrerebbe un videomessaggio in cui rivela la sua nuova storia d’amore: si tratterebbe di una giovane finalista
di Miss Italia. «Sono molto presi», si ascolterebbe in una telefonata intercettata tra Lele Mora ed Emilio Fede.
Il mondo politico, e non solo, è in attesa di conoscere le carte depositate dalla procura alla Camera. In particolare, gli allegati alla richiesta di perquisire gli uffici di Berlusconi in cerca delle prove d’accusa: Silvio elargisce case e denaro a giovani donne che passano le notti ad Arcore con lui e altri satrapi, dunque il premier è un magnaccia che organizza giri di prostitute (per di più minorenni, almeno in un caso).
«Fino a pagina 80 non è ancora successo nulla che non avessi già letto sui giornali», ha detto
ieri il pd Pierluigi Castagnetti, presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera che deve vagliare la richiesta della procura milanese. C’è chi giura che gli allegati siano «devastanti», altri per i quali la «prova regina» contro il premier non esiste.
Di solito, il vero termometro per misurare la febbre politica del centrodestra non sono le parole del Cavaliere, ma il fuoco di sbarramento e di copertura organizzato dal partito: dichiarazioni, dispacci di agenzia, interviste televisive e radiofoniche.
Stavolta il «dichiarometro» segnala grande incertezza. Il Pdl non si è levato come un sol uomo a difesa del presidente del Consiglio. Si sono sentite le voci dei capigruppo Cicchitto e Gasparri e del portavoce Capezzone che contestano l’accanimento giudiziario e fanno capire che il voto anticipato è più vicino; il ministro Gelmini si è immolata davanti alle telecamere di Bruno Vespa; si è aggiunto qualche «peone» sparso. Il coordinatore Bondi si è limitato a invocare la privacy (preoccupazione peraltro sacrosanta), tace il guardasigilli Alfano.
Ma questa volta non bisogna analizzare soltanto il comportamento del Pdl. Per capire in quale direzione si stanno incamminando il governo e il suo leader bisogna considerare le parole e i silenzi di altri tre attori: la Lega, l’Udc e la Chiesa. Tutti e tre ieri estremamente prudenti. Sono loro che hanno in mano il destino di Berlusconi e della legislatura.
Casini, che ha incontrato Rutelli e Fini, non ha detto una sillaba sulla vicenda, lasciando al segretario Udc Cesa il compito di auspicare che «Berlusconi chiarisca con i pm».
Silenzio guardingo anche di Bossi, che l’altro giorno aveva invitato il premier a non prendersela con i giudici. Grande cautela mostra anche il quotidiano «Avvenire», il cui sito internet per tutta la giornata di ieri non ha cavalcato la vicenda come gli altri quotidiani.
Non c’è imbarazzo dietro questi silenzi, ma l’attesa di come evolveranno gli eventi. Bisogna valutare le carte effettivamente in mano ai pm milanesi, capire come l’opinione pubblica percepirà l’ennesima offensiva giudiziaria contro il premier, osservare le mosse dei parlamentari che dovrebbero costituire il «gruppo di responsabilità» in appoggio al governo.
Al momento, l’unica certezza è che ancora una volta il gossip detta l’agenda alla politica e che l’Italia ha davanti altri mesi di scontri a colpi non di programmi di crescita e sviluppo, ma di intercettazioni boccaccesche.