Il governo non è mai stato così vicino a una crisi come ieri. Per un solo voto, la Camera ha bocciato l’articolo 1 del Rendiconto di bilancio, cioè il documento contabile propedeutico alla Legge di stabilità (la vecchia finanziaria). L’articolo 1 è l’architrave che regge l’intera impalcatura dei conti pubblici: niente rendiconto, niente bilancio. Il fatto non ha precedenti, al punto che la Giunta per il regolamento di Montecitorio è stata convocata in gran fretta per questa mattina: dovrà decidere come proseguire.

Il problema politico è rappresentato dalle assenze tra le file della maggioranza. Assenze pesanti per numero e soprattutto per qualità dei nomi: mancavano Tremonti, Bossi, Maroni, Scajola, Micciché, oltre a pattuglie di leghisti, «responsabili» e pidiellini critici con il premier.
Il sospetto che il voto nascondesse tranelli o imboscate è forte. Berlusconi si è allontanato dall’aula nero in volto, si è chiuso in conciliaboli con ministri e deputati. Non ha nascosto l’irritazione per la battuta d’arresto, ma non ha dettato una linea di rottura.
La versione del premier, che in un attimo viene fatta propria dall’intera maggioranza, è che si sia trattato di un incidente di percorso, un fatto senz’altro grave ma episodico, determinato da cause banali: deputati in malattia, in missione, accanto al figlioletto neonato, sulle scale o convinti che si sarebbe votato dopo 10 minuti. Bastava un solo deputato e non sarebbe successo nulla; invece è scoppiato un putiferio.

Insomma, piuttosto che ammettere che la maggioranza vacilla per le spaccature nella Lega e per gli scossoni della coppia Scajola-Pisanu, il Pdl liquida la faccenda come una distrazione collettiva, una leggerezza, una imponderabile eventualità.
Colpa del traffico e del prolungarsi delle chiacchiere con i giornalisti in Transatlantico. Eppure i deputati conoscevano la portata di quel passaggio parlamentare: lo stesso Berlusconi era seduto al banco del governo per votare. Tuttavia, meglio passare per superficiali che per congiurati.

Ma i fatti di ieri non possono essere considerati così banalmente. Cicchitto e La Russa hanno chiesto che venga posta la fiducia per liberare il campo dagli equivoci: una mossa che potrebbe rendersi necessaria anche per la difficoltà di trovare sistemi alternativi per l’approvazione del rendiconto. Berlusconi, fuori di sé, ha incontrato mezzo partito, in particolare Scajola e Tremonti. 
Bossi in serata ha riunito i parlamentari del Carroccio tuonando che «il partito sono io» e assicurando che «quando sarà il momento, farò io le liste elettorali e mi ricorderò di chi ha fatto il furbo in questi mesi». Nel Pdl si è allargato il malcontento verso il ministro Tremonti.

Troppi movimenti, troppo nervosismo per un semplice episodio banale. In realtà la bocciatura di ieri suona come un altro campanello d’allarme per la maggioranza, l’ennesimo, che denota la debolezza della coalizione nel momento in cui deve mandare avanti le leggi di bilancio. 
E che non potrebbe mascherare neppure un eventuale voto di fiducia, con la riconferma dei numeri a sostegno del Cavaliere. Fiducia sì, ma fino al prossimo scivolone parlamentare.