Nel giorno in cui le Borse di tutta Europa conoscono un nuovo «sprofondo rosso», in Italia prende forza la figura di Giorgio Napolitano. In questi due anni si è molto discusso sul suo operato, un certo interventismo, un controllo più occhiuto che in passato sull’azione del governo, una tendenza a «pilotare» talune situazioni e a indirizzare l’esecutivo: tutte mosse non previste, ma nemmeno escluse dalla Costituzione, che il premier talora ha bollato come ingerenze indebite.



Eppure, ieri mattina, sconcertava il silenzio del governo mentre Piazza Affari precipitava in un turbinio di vendite drammatico – e sarebbe andata peggio se la Bce non avesse acquistato consistenti quantità di titoli di stato italiani per sostenere la nostra finanza pubblica. Davvero un battesimo di fuoco per il neo presidente Mario Draghi. Palazzo Chigi, presidiato dal solo sottosegretario Gianni Letta, aveva diffuso in mattinata una nota in cui attribuiva la responsabilità di tutto alla sciagurata decisione greca di indire un referendum sul piano di salvataggio europeo. È vero: l’infelice svolta del premier socialista Papandreou ha gettato nel panico le Borse di tutta Europa. Ma è altrettanto vero che il mercato azionario di Milano ha fatto peggio di tutti, a rafforzare i timori di un contagio dalla penisola ellenica.



Napolitano ha preso in mano la situazione, costringendo Berlusconi a rientrare di corsa a Roma, emettere un secondo comunicato in cui il governo annuncia «tempi rapidi» per l’adozione di misure anticrisi, e infine convocare in serata un vertice straordinario con alcuni ministri (Frattini, Tremonti, Romani, Sacconi, Rotondi, Matteoli, Calderoli, oltre a Letta). Perché non sfuggisse a nessuno la sua azione, il Quirinale ha emesso a sua volta un comunicato. «Dinanzi all’ulteriore aggravarsi della posizione italiana nei mercati finanziari», Napolitano fa sapere di considerare «ormai improrogabile l’assunzione di decisioni efficaci nell’ambito della lettera di impegni» del governo all’Ue.



Aggiunge la nota della presidenza della Repubblica: «Diversi rappresentanti dei gruppi di opposizione hanno manifestato la disponibilità a prendersi le responsabilità necessarie in rapporto all’aggravarsi della crisi. Nell’attuale, così critico momento il paese può contare su un ampio arco di forze sociali e politiche consapevoli della necessità di una nuova prospettiva di larga condivisione delle scelte che l’Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari si attendono con urgenza dall’Italia. Il Capo dello Stato ritiene suo dovere verificare le condizioni per il concretizzarsi di tale prospettiva».

Sono parole che vanno lette con attenzione. Da esse risalta l’impegno del Colle perché il governo possa agire con tempestività nella direzione indicata dai partner. Ma traspare una seconda interpretazione: che possa essere pronta, o alle porte, l’alternativa di un governo «del presidente». Dalle opposizioni ieri non sono giunti segnali favorevoli al premier. Enrico Letta, interlocutore privilegiato di Napolitano, prospetta «un governo di emergenza nazionale» già prima del G20 di domani a Cannes. La lettera d’intenti di Berlusconi, sostiene Letta, non ha superato la prova dei mercati.

In serata è giunta la notizia che la maggioranza ha perso un altro voto, quello di Roberto Antonione, ex governatore del Friuli Venezia Giulia e già coordinatore di Forza Italia. Il che aggrava il «problema dei numeri» per Berlusconi, già costretto a evitare passaggi parlamentari per vari provvedimenti a causa del margine di rischio troppo elevato, e forse destinato a vedere ulteriormente assottigliate le proprie file. L’incompatibilità tra la carica di sindaco e di parlamentare, infatti, potrebbe presto costringere 9 pidiellini a dover scegliere tra Montecitorio e il municipio. E se dovessero decidere di restare sindaci, in due casi subentrerebbero altrettanti «futuristi» fedelissimi di Fini. Per il governo il pericolo maggiore potrebbe arrivare non da Bruxelles, nemmeno da Piazza Affari di Milano, ma proprio da Roma.