La lunga intervista di Silvio Berlusconi al Corriere della Sera di ieri segna il ritorno del Cavaliere alla politica dopo mesi di sostanziale tirare a campare culminato nelle dimissioni. Lasciato Palazzo Chigi, il leader del centrodestra ha passato altri dieci giorni in bilico, senza riuscire a mettere a punto il tipo di appoggio da fornire al governo Monti. Politici tra i ministri o no? Deve durare fino a maggio 2012, dopo il rinnovo della tranche più consistente di titoli pubblici, o fino al 2013? Programma minimo o ampio? Appoggio pieno e convinto oppure puntiglioso, carico di distinguo, valutando provvedimento per provvedimento?



La stessa scelta del giornale su cui parlare (il Corriere, cioè Banca Intesa-SanPaolo, cioè Monti-Passera) e l’ampiezza del colloquio fanno intendere il rilancio di Berlusconi. Non è detto che Monti riesca dove il Cavaliere ha fallito, ma il tentativo del Bocconiano è l’ultima spiaggia per la stabilizzazione finanziaria del Paese e una serie di riforme.
Monti prende su di sé l’incarico di realizzare le misure di risanamento avviate dal governo Pdl-Lega e l’ex premier, che ripete di non essersi dimesso in seguito a una sfiducia parlamentare, ma per senso di responsabilità e “amore per l’Italia”, sbaglierebbe a prendere le distanze dal nuovo esecutivo. E se Monti avesse successo, Berlusconi non potrebbe lasciare al solo asse Pd-Udc tutto il merito.



Ma il numero uno del Pdl parla anche del partito: di Alfano, delle primarie, del congresso, della sua mancata ricandidatura nel 2013, quando auspica che si andrà a votare. Berlusconi sa che è questa la partita più delicata. Costruire – più che ricostruire – il Pdl, dargli un’identità e una struttura in grado di presentarsi agli elettori con buone possibilità di vittoria.

L’operazione Monti contiene più di una insidia. Le larghe intese in appoggio al governo dei professori potrebbero provocare smottamenti nei due poli attorno a Pd e Pdl, coagulando i riformisti di entrambe le parti sotto l’unica bandiera della tecnocrazia centrista, moderata e filo-europea. Sarebbe la fine del bipolarismo, che lascerebbe il posto a un Terzo polo rafforzato. 



A destra resterebbe il populismo berlusconiano, a sinistra lo zoccolo duro della Cgil, ciascuno con una piccola pattuglia di complemento: da un lato la Lega sempre più chiusa e conservatrice, dall’altro il massimalismo della sinistra estrema e di Di Pietro.

A sinistra questo rischio è ben avvertito e il dibattito aperto. Nonostante la compattezza di facciata, Bersani non digerisce il protagonismo di Enrico Letta, l’estensore del pizzino a Monti. Soprattutto non sa come far accettare alla sua base il programma lacrime e sangue imposto dall’Europa soprattutto in materia di welfare: lavoro, contratti, pensioni.
Tra il responsabile economico del partito, il bersaniano Stefano Fassina, e il senatore democratico Piero Ichino, fautore di una radicale riforma previdenziale, lo scontro è dichiarato.
Anche Berlusconi è conscio del rischio erosione che corre il Pdl e si muove per serrare le file.