«Adesso ognuno sta a casa sua». Per descrivere lo stato dei rapporti con il Pdl, Umberto Bossi parla come un coniuge separato, ma non ancora divorziato, che dunque si trova in una fase interlocutoria. Non ha rotto del tutto, forse non vuole neppure farlo, ma si affida al medico che cura ogni ferita: il tempo. I rapporti potrebbero riaggiustarsi, ma anche no. Per ora, letti separati, anzi ognuno è tornato a dormire dalla mamma.

Il matrimonio tra Pdl e Lega Nord non è finito. I due partiti hanno preso strade diverse ed è logico che, settimana dopo settimana, si approfondiscano le diversità di vedute tra chi sta con la maggioranza (Pdl) e chi è passato all’opposizione (Lega): unica tra le formazioni presenti in Parlamento, ma con crescente consenso – se si dovesse considerare l’ondata di impopolarità che sta montando attorno all’esecutivo Monti.

Ieri il Senatùr è tornato a parlare, a otto giorni dalla non felicissima passerella del Parlamento della Padania, uno strano palcoscenico che ambisce a interloquire con le istituzioni europee ma non riesce a farlo con quelle italiane. «Berlusconi è con i comunisti, s’è messo col governo», dice Bossi: dunque, pare di capire che il solco è incolmabile. Lontani sono i tempi in cui i leghisti lasciavano che D’Alema sentenziasse che il Carroccio è una costola della sinistra». Altre stagioni, decisamente.

Ma, come spesso accade nei frangenti in cui si attende che qualcosa di nuovo accada, le parole di Bossi danno adito a una lettura ambivalente. La scorsa settimana lui e Berlusconi dovevano incontrarsi, ma il vertice è saltato: «Non sono questi i tempi, questi sono tempi per aspettare», ha detto il Senatùr. La porta non è chiusa, potrebbe riaprirsi. La solida alleanza che dura da dieci anni non è rotta. Tuttavia la presa di distanza di Bossi non è catalogabile come un episodio di un gioco delle parti, come se il Pdl e la Lega avanzassero divisi per colpire uniti.

A un anno dalle elezioni politiche, e con il rischio tutt’altro che scongiurato di andare a votare già la prossima primavera, Bossi ha scelto di dedicarsi alla base elettorale ed è a questa che parla. È per loro che usa toni pesantissimi contro la manovra salva-Italia, contro il ruolo giocato dal presidente Napolitano (del quale, fino a non molti mesi fa, la Lega era considerata addirittura la quinta colonna dentro la maggioranza) che «si piglierà le responsabilità di aver sciolto un governo eletto democraticamente e di avere messo un commissario venuto dall’Europa e dalle banche». 

Monti porta «casino e basta» ed è «cattivo» perché «tocca le pensioni e i vecchietti». Ed è sempre a uso interno che Bossi promette che «la Padania si farà la sua moneta»: talleri, dobloni, ducati, fiorini?

Ma Bossi vede all’orizzonte un altro pericolo, ed è quello che lo induce a tenersi le mani libere. Bisogna vedere se al termine della legislatura il governo Monti avrà modificato il panorama politico attuale. Se cioè resisteranno i partiti garanti del bipolarismo, Pdl e Pd finora solo marginalmente scalfiti dal Terzo polo, oppure se la formazione centrista riuscirà a coagulare consensi e parlamentari da destra come da sinistra. Se andrà in porto questa operazione, e il Pdl non sarà più quello che è stato in questi anni, potrebbe approfittarne anche la Lega. Alla quale, dunque, conviene aspettare e intanto giocare la sua partita solitaria.