Secondo la consumata tecnica dell’annuncio seguito da smentita, Claudio Scajola ha già innestato una parziale retromarcia dopo aver fatto sapere che era pronto a formare gruppi parlamentari autonomi dal Pdl con «una sessantina» di fedelissimi: un numero addirittura più folto rispetto a quanti seguirono Gianfranco Fini nell’avventura del Fli, oggi pesantemente ridimensionato. «Azzurri per la libertà» li avrebbe battezzati, con un evidente richiamo ai primi tempi di Forza Italia, quando durante le convention la sigla che annunciava a tutto volume l’arrivo di Berlusconi sul palco non era ancora «Meno male che Silvio c’è» ma «Azzurra libertà».
Il nostalgico Scajola scalpita dunque a bordocampo in attesa di tornare in prima squadra dopo il secondo periodo di quarantena seguito alle dimissioni da ministro. L’obiettivo vero non sono i gruppi parlamentari autonomi, e sembrerebbe (ma trattandosi di poltrone il condizionale è sempre d’obbligo) neppure l’imminente rimpasto nel governo, quanto la riconquista del partito, dove regna la confusione.
I tre coordinatori sembrano alla vigilia del passaggio di consegne. Il triumvirato nel Pdl era stato predisposto per la fase transitoria di unificazione tra Forza Italia e Alleanza nazionale; la scissione di Fli ha avuto l’effetto di compattare il Pdl, con taluni ex colonnelli di Fini che oggi appaiono più berlusconiani di tanti luogotenenti «storici» del premier. Verdini ha problemi giudiziari, mentre Bondi si avvia mestamente a perdere anche il ministero della Cultura.
Nel Pdl, archiviata la noiosa e irrisolta stagione forzista dell’alternativa tra «partito» e «movimento», sono in corso da tempo vari sforzi per puntellare un partito ancora informe.
Le fondazioni spuntano come le primule in questa stagione. Dell’Utri ci prova con i Circoli del Buon governo. Il ministro Michela Vittoria Brambilla sforna iniziative a raffica, dai Circoli della libertà ai Promotori della libertà (con qualche flop come una tv satellitare chiusa subito dopo la campagna elettorale) fino all’ultima iniziativa, «Pdl al servizio degli italiani», una sorta di patronato. Quello dei Promotori sembra il modello al momento preferito da Berlusconi: al loro sito ogni settimana il premier affida un messaggio audio o video.
Ma, evidentemente la situazione è lontana dall’essere definita. Ed ecco che riappare Scajola, vecchia scuola democristiana, vero artefice sotto traccia della vittoria elettorale del 2001 grazie a un lavoro organizzativo capillare. Il suo «ideale» è chiaramente espresso nella nota in cui allontana l’ipotesi dei gruppi autonomi alle Camere: «un partito unito, radicato sul territorio, fondato sulla partecipazione e la democrazia interna, sul pluralismo delle idee e non delle correnti». Ma il Pdl «finora non è diventato uno strumento organizzativo funzionante: doveva essere il partito della gente, troppo spesso non lo è». Ma l’esigenza di strutturarsi è forte, sollecitata da due carenze sempre più evidenti: la cronica difficoltà a trovare buoni candidati nelle elezioni locali (accompagnate più da litigi che da unità d’intenti) e il rischio di perdere colpi davanti al consolidarsi della Lega nel Nord e Centro Italia.
Intanto l’esternazione di Scajola ha già prodotto un effetto: la pausa di riflessione berlusconiana sul rimpasto di governo. Invece che agitare le acque, la sua provocazione ha causato un’ulteriore fase di stallo.