E’ con un bicchiere mezzo pieno (o mezzo vuoto?) che Silvio Berlusconi è tornato dalla missione-lampo a Tunisi. Non è stato firmato nessun accordo, nonostante la grande disponibilità italiana a fornire uomini, mezzi e denaro per scoraggiare le fughe dei disperati dalle coste nordafricane; tuttavia si è insediata una commissione di tecnici che in 24 ore valuterà approfonditamente la situazione per presentare una bozza di accordo da sottoporre alla firma dei ministri dell’Interno. E infatti stamattina Roberto Maroni prenderà di nuovo l’aereo per Tunisi per chiudere – si spera – il patto con il governo provvisorio.
Situazione in evoluzione, dunque. Berlusconi ha sottolineato che non ci saranno azioni di forza: «Siamo in un Paese amico per risolvere i nostri problemi in un clima di collaborazione e amicizia», ha detto. Niente rimpatri forzati, come auspicato dalle frange leghiste più oltranziste, ma accordi di collaborazione e solidarietà. L’Italia offrirebbe aiuti per 300 milioni di euro, motovedette, pick up, radar per i pattugliamenti, ma in cambio vuole sapere ogni giorno da Tunisi la situazione di porti e aeroporti, cioè pretende un controllo ferreo delle coste. Il negoziato lasciato in sospeso riguarderebbe soprattutto i soldi. Vedremo oggi come finirà questa trattativa da suk arabo.
Il «piano B» prevede che il governo italiano rilasci agli sfollati un «permesso temporaneo di protezione umanitaria» della durata di sei mesi, come previsto dalla legge Bossi-Fini: gli stranieri non saranno più clandestini e potranno spostarsi liberamente nell’area Schengen senza pericolo di essere respinti alle frontiere, come è successo nei giorni scorsi ai confini italo-francesi. E’ la soluzione preferita da Berlusconi, perché consentirebbe di non mandare soldi in Tunisia, svuotare Lampedusa e i campi di accoglienza, e scaricare il problema sui Paesi europei che finora hanno alzato le spalle.
Ma è anche la soluzione più invisa alla Lega, perché puzza di sanatoria e lascerebbe nell’elettorato padano la sensazione di un Carroccio arrendevole, lontano le mille miglia da quel perentorio «Fòra dai ball» bossiano che si realizzerebbe con i rimpatri forzati.
Dietro la trattativa italo-tunisina, si cela perciò un secondo confronto Berlusconi-Bossi non meno carico di tensione. La Lega ha necessità di riacquistare smalto in vista delle elezioni amministrative: una visibilità appannata dalla cattiva gestione del Viminale (anzi, dalla non-gestione) dell’emergenza a Lampedusa che mette a repentaglio l’immagine di partito «law and order». Un’immagine che Bossi cerca di riconquistare anche con proposte sconcertanti come quella (è di ieri) di creare eserciti regionali sul modello della Guardia nazionale degli Stati Uniti. Fallite le «ronde padane», la Lega ripropone pattuglie di sicurezza anti-criminalità. Faranno la stessa fine ingloriosa: ma in campagna elettorale tutto serve per raccogliere voti.