C’era una volta una situazione politica in cui la Lega doveva conquistare voti e dunque giocava a fare quello che sbraita per farsi sentire. C’erano una volta i “celoduristi”, i Borghezio e i Gentilini che si sfidavano a chi la sparava più grossa. C’è invece oggi una realtà capovolta, in cui il Carroccio spegne i fuochi fiammeggianti appiccati dal premier e si schiera nientemeno che con il Presidente Giorgio Napolitano predicando moderazione e compostezza.

L’ultimo paradosso di questa strana campagna elettorale per le amministrative di domenica e lunedì è vedere la Lega fare il “partito di governo” e il Pdl trasformarsi in un “partito di lotta”. L’uno che dà l’idea di essere un partito forte e sicuro dell’esito delle urne, l’altro che sembra affannarsi alla ricerca dei voti perduti. Colpisce anche l’affiatamento fra il Carroccio e il Colle, tra il Presidente dal passato comunista e i padani, un tempo definiti da D’Alema “costola della sinistra” e oggi – convintamente e stabilmente – asse portante della maggioranza che sostiene il governo di centrodestra.
Umberto Bossi si è messo a fare il vecchio saggio della compagnia. Al comizio di Bologna con Giulio Tremonti ha ascoltato senza battere ciglio quell’inno nazionale che solo due mesi fa, in vista delle celebrazioni per i 150 anni di unità, era considerato un motivetto infelice.

Se Berlusconi attacca i magistrati, il Senatùr accorre a fare il pompiere. Non smette di sostenere il premier, ma ripete che lo vede meglio a Palazzo Chigi che al Quirinale. Insomma, un Senatùr pacato e fiducioso dei propri mezzi. È una metamorfosi importante. Qualcuno addirittura ritiene che Napolitano abbia scelto proprio Bossi per rimpiazzare il deludente Fini quale sponda interna alla maggioranza da utilizzare per arginare il Cavaliere. Andrebbe interpretato in questo senso il rapidissimo via libera accordato dal Presidente alla legge sul federalismo che proprio oggi va in Gazzetta ufficiale.

Dal canto suo, Berlusconi appare all’inseguimento. Alzare i toni in campagna elettorale è una consuetudine cui nessuno sfugge, tantomeno il presidente del Consiglio. Napolitano lo sa e ha liquidato come “polemiche elettoralistiche” le ipotesi riformatrici del premier che toglierebbero poteri al Quirinale. Il capo del governo ha dovuto subire la pressione della Lega sull’immigrazione, dei “responsabili” per le poltrone da ottenere, e di numerosi esponenti pidiellini per le poltrone non ottenute: alzare i toni ottiene sempre l’effetto di serrare i ranghi e compattare le fila.

Si è speso moltissimo a Milano per la riconferma al primo turno del sindaco Moratti. Ha deciso di partecipare alle udienze dei processi milanesi trasformandole in ribalte per le sue arringhe anti-pm. Tuttavia gli argomenti sono apparsi i soliti, non ci sono stati guizzi di novità, mentre è stato Bossi invece a destare le maggiori curiosità. Il che dovrebbe sortire i suoi effetti al Nord, ma anche in una città come Bologna dove un avvocato leghista non ancora quarantenne tiene (quasi) testa al candidato del Pd.