Niente incontro Berlusconi-Bossi sul caso Libia per trovare un punto di mediazione, ma un vertice tra il ministro degli Esteri e i capigruppo parlamentari del Carroccio. La giornata di ieri ha fornito due conferme: la prima è che Pdl e Lega non hanno intenzione di mettere a rischio la tenuta della maggioranza per la crisi nordafricana, la seconda è che tra i due maggiori leader i rapporti restano freddi. La misura della distanza si valuta dalla rudezza delle parole usate dal Senatùr per fotografare la situazione: “Berlusconi non è scemo, non farà cadere il governo”.

Berlusconi non è scemo, garantisce Bossi. Ma siccome – come diceva Totò – “ccà nisciun’è fesso”, neppure il leader dei padani può permettersi di correre veramente il rischio di mettere a repentaglio l’esecutivo. Nei vertici di oggi si troverà la “quadra” che consentirà a ciascuno di attribuirsi un pezzettino di vittoria e mercoledì, al momento di votare le mozioni sulla missione in Libia, la maggioranza ritroverà una certa compattezza. Le diplomazie dei due partiti sono armate di lima per smussare le spigolosità del testo leghista. Probabilmente si troverà un punto di equilibrio che non prevede un termine immodificabile di scadenza per l’intervento militare contro Gheddafi (come chiesto dalla Lega), ma un controllo del Parlamento sullo stato delle cose con eventuale voto per fare proseguire la missione.

Se la volontà c’è, l’accordo si trova. Ma l’affaire Libia può essere liquidato come una semplice schermaglia pre-elettorale in cui la Lega si fa interprete del sentimento popolare più incline al pacifismo mentre il Pdl incarna la “ragion di stato”? Una risposta chiara si avrà naturalmente fra 15 giorni, scrutinate le urne del primo turno di amministrative. Tuttavia la sensazione è che nel rapporto tra Berlusconi e Bossi qualcosa si sia davvero incrinato. Ieri, lunedì, è il giorno in cui i due si vedevano a cena ad Arcore: invece ognuno per conto proprio. Dialogano per interposta persona. E il Senatùr rispolvera il linguaggio da bar.

 

Fini ruppe perché geloso del rapporto umano prima che politico tra Silvio e Umberto, che oggi invece sembra in crisi. Troppo bruciante, per l’alleato leghista, l’offesa di non essere avvertito della svolta interventista in Libia. Ma se, nella testa di Berlusconi, Bossi passerà dalla categoria “amico” a quella di “alleato”, e quindi affidabile con riserva, potrebbero cambiare tante cose. Il premier va d’accordo con gli amici, come Putin e Bush, ma non regge gli alleati: vedasi che fine hanno fatto i legami con Casini e Fini, lo scricchiolio del rapporto con Tremonti e le difficoltà con certi governanti occidentali.

Berlusconi ha usato la politica della “pacca sulle spalle” come cifra della sua azione, uno stile opposto alle estenuanti mediazioni dei “professionisti della politica”. Può funzionare, ma non in eterno. Arriva il momento in cui non tutto si risolve attorno a una tavola imbandita. E qui si vede la statura di un politico. Per il Cavaliere, la prova più difficile potrebbe rivelarsi non l’appuntamento elettorale, ma il dopo.